Ossessione italianaL’odio anti Juve e il desiderio di bianconeri e interisti di potersi sfottere amabilmente

Due tifosi colti e non tribali come Massimo Zampini e Michele Dalai dialogano sulla rivalità tra i due club e le due tifoserie, nella speranza di poter vedere in futuro solo una cordiale antipatia

LaPresse

Un dialogo tra due giornalisti e scrittori, tifosi di due squadre che hanno creato una delle rivalità più accese e combattute del calcio italiano. Da un lato Massimo Zampini, tifoso della Juventus, autore del libro “Juventus. Un’ossessione italiana. 38 scudetti, 9 consecutivi, 20 anni sotto processo: il calcio rovesciato e il colpevole perfetto” (Baldini & Castoldi), dall’altro Michele Dalai, scrittore ed editore, tifoso dell’Inter. Discutono del libro di Zampini a poche ore da Inter-Juventus (appuntamento a San Siro, domenica alle 20.45), che ancora una volta è una sfida per la testa della classifica di Serie A.

Dalai – Caro Massimo, ho letto il tuo libro e la prima domanda che mi faccio è come tu faccia non essere esausto. Ti ho sempre riconosciuto una grande capacità di analisi – la si coglie anche nel libro – ma allo stesso tempo so che sei molto tifoso. Questo ti mette in una condizione difficile credo, di stanchezza intellettuale, perché da un lato provi a ragionare sulle cause più profonde di questa specie di ossessione sulla Juve ma dall’altro ti interroghi meno sul fatto che nel tifo ci sia una componente predominante di irrazionalità e dunque questa ossessione vada accettata. Continui a portare ragioni, argomentazioni, motivazioni che hanno un senso. Ma la mia prima domanda rimane questa, pur ribadendo che io non sono appassionato e preparato come te circa le questioni calcistico giudiziarie. La prima domanda è questa: non sei stanco?

Zampini – Caro Michele, se per stanco intendi che scrivo sempre lo stesso libro, non hai tutti i torti, anche se stavolta cerco di condurre un’analisi più approfondita e meno ironica, sin dal titolo e dalla copertina, con Freud in gran forma in maglia bianconera pronto a scandagliare l’ossessione italiana verso la Juventus. Il tifoso è irrazionale, lo so bene, e nessuno fa eccezione alla regola. Lo siamo anche io e te, che pure amiamo dialogare serenamente delle nostre squadre tanto rivali. Tuttavia, io non mi concentro sui fan sfegatati e sugli anonimi sui social. Nemmeno su quei soliti noti col tesserino che avvelenano i pozzi quotidianamente ovunque possano, dopo averlo fatto per decenni sulle reti televisive con cui collaboravano. La mia attenzione è rivolta ai media tradizionali, alle istituzioni, a chi dovrebbe essere quantomeno rispettoso nei confronti di tutti. Prendi il pm che sorridendo dice a un convegno di odiare la Juventus riferendosi espressamente a presunti “latrocini” in campo, il presidente del Senato per il quale i bianconeri gli hanno «rubato uno scudetto», perfino un uomo equilibrato e autorevole come Draghi che la definisce come «una certa squadra di Torino che non voglio nemmeno nominare», le offese alla Juve dentro il Tribunale (!) di Napoli, i sindaci che anche se parlano di calcio non si fanno scrupoli ad assecondare gli istinti meno nobili dei loro potenziali elettori, per arrivare a maestre che fanno cantare i cori contro la Juve e li mandano nei gruppi WhatsApp dei genitori e compagnia.

In tanti affermano che è il destino dei più forti, ma nel dialogo contenuto nel libro con alcuni giornalisti stranieri, essi affermano che Real e Bayern sono sì certamente “detestate” e non mancano i sospetti sulle loro condotte, ma l’odio espresso e la denigrazione da parte di uomini delle istituzioni non sono nemmeno ipotizzabili. Da noi, invece, tutto è concesso. Tutto questo non va ben oltre la sana irrazionalità del semplice tifoso come noi?

Dalai – Ho capito bene cosa intendi: siamo tutti figli di Flaiano, sappiamo che da noi «le cose sono sempre gravi ma non sono mai serie». Citazione abusata ma si adegua meglio al dibattito pubblico di questo Paese, in cui c’è un’etica mobile. Ci si indigna con grande trasporto, ma solo per le cose che riguardano gli altri. Rifiutiamo l’autorità perché sospettiamo che non possa essere super partes. Il dibattito sulle regole diventa un dibattito per ottenere regole convenienti. Questo è il punto di partenza.

C’è a mio parere un vizio di forma drammatico sulla Juventus: una squadra da sempre fortissima ma che appartiene alla più grande famiglia di imprenditori italiana, una sorta di famiglia reale. Come il Real di Franco, unica forse odiata come la Juve, spesso additato di ottenere vittorie “politiche” più che calcistiche. E poi da noi non è neanche vero, perché magari sono altre le squadre che sono state “scelte” per i trionfi politici, ripensando ai tempi di Mussolini. Vi è quindi il pensiero di non contestare solo una squadra di calcio, ma anche il potere, come una lotta di classe, pur se talvolta portata avanti da gente con maglione di cachemire che compra squadre per qualche miliardo.

Detto questo, poi ci sono gli episodi, che vengono letti nella stessa direzione: non interessano i processi, ma solo le accuse. Così nasce il contagio collettivo dell’ossessione.

Io, che come sai non sono ossessionato, prendo in giro la Juve come fai tu con l’Inter, con gli amici talvolta diciamo anche qualcosa di terribile perché questo è il tifo: ho vissuto da vicino la ricostruzione della Juve dei nove scudetti, ho visto i meriti, come è stata pensata. Penso tuttavia che ci siano dei passaggi difficili che siano stati protetti in modo protervo, arrogante: questo ha prodotto dei rivali non ossessionati. Quel finale convulso del ’97/’98 con così tanti errori, rivendicati come fossero parte di un percorso necessario del genere “vincere è l’unica cosa che conta”. Questo crea distanza, sospetto, fatica, che da un lato si trasforma in vittimismo – e fa la rovina dell’Inter per un decennio – oppure dall’altro si trasforma in questa cordiale antipatia che spesso mi spinge a “sospettare” della Juve, non come una società che manipola i risultati, ma per il “negazionismo” di diversi tifosi. Per questo, tranne con te e alcuni altri, fatico a dialogare serenamente con alcuni juventini.

Tu fai un discorso molto serio nel libro: un evento è fatto di tante concause, dovremmo analizzarle tutte prima di condannare. Sacrosanto. Ma a volte sento una difesa con argomenti futili e infantili per proteggere cose che andrebbero analizzate meglio e potrebbero anche portare a dire: «Sì, abbiamo avuto qualche coincidenza favorevole dalla nostra».

Lapresse

Zampini – Certamente, il legame con la famiglia Agnelli ha contribuito e nel libro lo spiega bene Guido Vaciago nel dialogo in cui racconta appunto un secolo con la stessa proprietà: a me sin dall’infanzia per ogni singolo acquisto veniva contestata la cassaintegrazione Fiat, che non sapevo neanche cosa fosse.

Quanto agli episodi e alla storia della Juve, credo che dai non juventini sia sottovalutato un aspetto fondamentale: il doppiopesismo con cui è stato raccontato il calcio negli ultimi decenni, che è finito dalle prime pagine dei giornali direttamente in tribunale.

Calciopoli, comunque la si pensi, è una storia raccontata male, con un colpevole designato – ricorderai il nome di “Moggiopoli”, quando i primi rivali di Moggi erano il presidente del Consiglio e il presidente di Lega, non proprio due incapaci di tutelarsi e di intrattenere relazioni a ogni livello – e il tabù, una volta finito tutto, di non parlarne più, di considerare normale un titolo a tavolino, rivendicato come scudetto degli onesti, come se le telefonate uscite nel 2010 non fossero mai esistite. È tabù, non ne parla più nessuno, ma i temi tabù non aiutano alcun rapporto, personale o stra pubblico che sia: il dialogo tra juventini e interisti, a mio parere, resta pressoché impossibile da lì. Lo stesso vale per esempio per le infiltrazioni in curva: a Torino le accuse e le intercettazioni (una addirittura modificata e non autentica) sono finite in prime pagina per un mese e poi perfino in Commissione Antimafia, altrove se ne parla un giorno e via senza la rivelazione quotidiana di conversazioni private, come giusto che sia. E così anche per la famosa questione plusvalenze: senza entrare nei dettagli giuridici, chi segue il calcio sa che da venti anni per sistemare i bilanci si scambiano a cifre gonfiate anche giocatori giovani non esattamente fenomenali, che non si spostano neanche. Al Paese la questione non è mai interessata minimamente, mentre l’anno scorso è rimasta per un mese in prima pagina sul Corriere della Sera, mica solo sui giornali sportivi.

Il racconto del calcio condiziona tutto: se tu ricordi alcuni episodi in un campionato di trentaquattro partite, io posso citarne altrettanti del percorso vincente in Champions dell’Inter nel 2010. Ma dentro di me, per come mi ha “educato” la Juventus, rimane Eto’o che fa due fasi in maniera meravigliosa, Sneijder ispirato come mai, Milito che segna da qualunque posizione, l’impresa di una squadra che si applica e ne supera altre apparentemente più quotate. Ma se i media mostrassero ogni due mesi quegli episodi, magari intervistando ogni sei mesi i protagonisti con toni drammatici, quel ricordo non sarebbe riconosciuto e legittimato come invece avviene da parte della gran parte dei non interisti.

Se io riconosco la grandezza dell’impresa di quella Inter, come effettivamente faccio, ma dall’altra parte mi viene perennemente rinfacciato pure un doppio giallo mancato, un rigore negato o un presunto fuorigioco o meno di un centimetro di quarantacinque anni fa, avverto uno squilibrio che falsa il dialogo tra tifosi e che gli juventini tendono a sopportare sempre meno.

Per arrivare all’attualità, io penso che l’Inter vincerà lo scudetto perché è più forte, più completa e più avanti nella sua costruzione generale. Ma trovo poco sincero l’accorato appello ai tifosi a riconoscere i meriti altrui senza fare polemiche quando a te non vengono mai riconosciuti, pur essendo stato migliore degli altri più frequentemente di tutti.

Una postilla sul “vincere è l’unica cosa che conta” che hai citato incidentalmente: anche il motto bonipertiano è vittima del racconto. Non si tratta certo di vincere a qualunque costo, passando sopra regole e morale, quanto di ricordarci che siamo una società di calcio, che deve pensare solamente a cercare di vincere, senza cercare alibi o rincorrere chissà quali altre ambizioni. Come sottolinea Federico Sarica in un dialogo contenuto nel libro, la Juventus non si pone l’obiettivo di difendere una città o di rappresentare l’onestà e altri valori: è una società sportiva, che cerca di fare calcio nel modo migliore possibile e spesso ci riesce. Niente di più e niente di meno. Invece, a sentire il racconto comune, pare che Boniperti invitasse a compiere qualunque nefandezza pur di prevalere sugli altri. Non è così, la Juve fa di tutto per vincere ma quando non ci riesce è la prima a complimentarsi, senza mai delegittimare i successi altrui.

Dalai – Molto chiaro, mi sono utili le tue delucidazioni. Un po’ di appunti sparsi. È sempre difficile distinguere tra tifosi beceri e non beceri, tra social e media. Un giornalista, non un utente anonimo, dopo Napoli-Inter di Supercoppa ha scritto che Gigi Riva avrebbe tifato per gli azzurri: trovo insopportabile la strumentalizzazione perfino di una leggenda appena scomparsa per ragioni di campanile.

Poi, un tema fondamentale: lo sport in Italia non è considerato una cosa seria. Un’azienda sportiva, la Juventus o l’Inter, è considerata strumentalmente solo quando viene considerata serbatoio di consenso, ma nessuno riesce a costruire un discorso pubblico istituzionale decente sullo sport da queste parti. Siamo tutti juventini ma nessuno è juventino: si può farne carne di porco pubblicamente, è come la DC che la votano tutti ma nessuno la vota, esiste ma non esiste.

Ha sede in una città lontana dalle altre, è come se non avesse una vera anima popolare: il tentativo della proprietà della Juve di disancorarsi dalla città te lo dimostra. È più facile aggregarsi al discorso antijuventino piuttosto che provare a razionalizzare come fai tu, ma si tratta di istituzioni che tu per primo ritieni non credibili. Non riesco più a prendere sul serio certa gente quando parla di qualunque tema, ma soprattutto quando si riferisce allo sport. Troppo spesso sono intenti a far detonare l’animo irrazionale invece di ragionare sul merito delle cose.

Nel merito delle argomentazioni da te espresse in questo libro, una delle cose più difficili da accettare per i non juventini, me compreso, è la ripetizione delle vittorie. Nell’eterno stress della rincorsa e dell’inseguimento, i primi elementi considerati non sono mai l’organizzazione aziendale o la qualità sportiva e della dirigenza, ma la possibile influenza su chi decide. Si tratta di una naturale difficoltà nel riconoscere il merito, perché inseguire è frustrante.

Su Calciopoli penso come te che sia il punto di non ritorno: lì si interrompe il discorso calcistico in Italia. Due tifoserie enormi smettono di avere un rapporto basato sulla competizione agonistica in campo e diventa un rapporto politico-giudiziario. A quel punto tutti, anche chi non ha le conoscenze e le competenze, dicono la loro come succede in Italia, leggendo l’occhiello ma non le prime tre righe. Ho sentito da entrambe le parti gente parlare di Calciopoli senza avere la minima idea di cosa stesse dicendo. La gestione di quella terribile storia è l’inizio della fine. Da lì fatico a parlare di calcio, a volte ci ricasco ma poi mi ritiro, non c’è la capacità di affrontare quei temi per ricercare una sorta di centro condiviso. Un processo troppo veloce, emotivo: per quanto mi riguarda, la cosa particolarmente odiosa del mio rapporto con la Juve sono le ultime partite del ’97-’98, non solo quella di Torino. Ovviamente ti sto parlando delle sensazioni del tifoso medio, nessuna accusa o denuncia. Poi mi conosci, ho lavorato due anni e mezzo nel rugby professionistico e per me gli arbitri non sono mai il centro del discorso: è un ruolo ingrato in un Paese così, che talvolta genera anche protagonisti ma siamo gli unici – forse con alcuni altri Paesi latini – a parlare di arbitri in questo modo, capaci di contestare anche un sistema di controllo basato su sistemi tecnologici.

Più che l’ossessione delle istituzioni e dei tifosi per la Juve io vedo una grande stanchezza delle persone razionali nei confronti del calcio italiano, perché è esasperante costringere persone acute o intelligenti a confrontarsi su questa storia qui, su una squadra che vince tantissimi scudetti perché ha una forza consolidata che è fatta anche di gestione dei momenti di tensione, di capacità di incidere anche sulla psicologia, ma è parte del gioco e dovrebbe rinormalizzarsi. Credo che i rivali dovrebbero smetterla con questa ricerca del nemico con una “etica mobile” e gli juventini non dovrebbero avere una capacità di sopportazione maggiore.

Attenzione, non parlo del tema principale del tuo libro: è patetico che chi ha dei ruoli di responsabilità affronti questa storia in questo modo.

Archivio Lapresse

Zampini – Su tante cose la vediamo in comune, poi sappiamo di essere parti anche noi di due tribù talvolta inconciliabili. Questa incomunicabilità post Calciopoli non aiuta i tifosi della Juventus e neanche quelli dell’Inter, rendendo complicato riconoscere qualche nota positiva ai rivali. Sono cresciuto nei racconti di mio padre, juventino da sempre, sul rispetto dovuto all’Inter degli anni ’60, ho ammirato l’Inter del Trap, Matthaeus e Ronaldo, che in italia viene associato solo a quella scena con Iuliano. Rimane una squadra difficile da battere anche negli anni meno esaltanti, perché l’Inter vive anni e periodi clamorosi, ma li alterna a periodi piuttosto lunghi senza brillare. Sparisce dalle grandi d’Europa per un decennio, poi si gioca fino in fondo la finale di Champions e vediamo quest’anno, perché ha trovato autostima e non è facile batterla… Eppure dal 2006 diventa difficile ammettere anche i fatti più scontati, perché per lo juventino l’esigenza primaria è diventata la ricerca di un racconto equilibrato e rispettoso.

Vale anche per l’attualità, nel rinfacciare agli interisti i frequenti presunti errori arbitrali a favore: per tanti juventini l’obiettivo non è dire realmente agli interisti che vincono per quello, ma fare loro presenti che a parti invertite starebbero facendo l’inferno come in passato, mentre oggi si appellano al bel gioco, la differenza reti migliore, tutto quello che hanno riconosciuto troppo raramente nei duelli del passato. Se faccio un tweet sulle reazioni post Inter-Verona, molti pensano che sia un messaggio per contestare l’arbitro, quando il tema è sempre il doppiopesismo o l’etica mobile, come l’hai definita tu. Non me la sento di contestare agli juventini questa reazione dopo decenni di racconto con la doppia morale, che hanno falsato completamente la percezione dei fatti. Diventa un dialogo frustrante, sono d’accordo con te, ma la sua origine è perfettamente comprensibile.

Dimmelo tu, ora: come ci si sente a stare dall’altra parte? Primi, più forti, ma con l’accusa di avere episodi favorevoli, il dirigente più influente e tutte le solite accuse che conosciamo bene? Ti scoccia, ti diverte? La mia impressione è che gli interisti siano poco abituati a questo ruolo di bersaglio delle allusioni altrui e che davvero sul tema siano permalosi come dice Allegri. Dopo decenni di risate orgogliose per le battute del compianto Prisco, riferite spesso alla presunta poca limpidezza delle vittorie juventine, oggi se la prendono per riferimenti ben più innocui del nostro allenatore.

Dalai – Premetto: la battuta di Massimiliano Allegri sulle guardie e i ladri l’ho trovata davvero divertente. Sarà che ho padre livornese, ma ho apprezzato il ribaltamento della prospettiva, come a intendere “ora che tocca a voi, cosa ci dite?”. Io ti dico la verità: non mi sto ponendo il problema, proprio come facevo prima. Fatico da sempre a dibattere di episodi arbitrali, non mi appassionava prima e non mi diverte ora.

L’utilità di un dialogo così è che però ho colto molto bene il tuo punto di vista. Il fatto che quando succede alle altre tutte vogliano trovare delle sfumature di intensità diversa, minore, «la Juve ha fatto comunque di peggio», «ha rubato di più», «ha realizzato più plusvalenze» e così via. Deve essere frustrante, soprattutto per chi cerca una linea di demarcazione tra l’obiettività e l’eccessiva faziosità. È un meccanismo sbagliato. È quello che porta a esultare in piedi strappandosi la giacca e la maglietta al gol di Toldo l’anno dopo il 5 maggio pur se si è consapevoli che diversi giocatori dell’Inter stavano affossando Buffon in modo irregolare. Poi è un gol inutile, non come la “tragedia” sportiva del 5 maggio, l’Inter ha un po’ questa capacità tragica della profezia che si autoavvera, non riconoscendola però alla Juventus che ha perso alcune finali di Champions in modo quantomeno particolare. Il calcio in Italia è ormai inapprocciabile, nasce da lì la prima domanda che voleva essere: «Non sei esausto di cercare una posizione razionale e ponderata in un dibattito che tanto non lo sarà mai?». Tutto resterà così, io e te dialogheremo divertiti in privato ma poi sui social anche noi torneremo a punzecchiare. Se già tra due persone che hanno rispetto reciproco diventa faticosa, figurati nel carnaio che è il calcio italiano oggi all’epoca dei social.

Devo poi confessarti che dopo la finale di Champions persa ho capito molte cose, anche sull’odio comune riversato verso una squadra che ha appena vissuto una profonda delusione dopo un grande percorso, perché mettersi nei panni dell’altro aiuta. Sull’Inter di quest’anno, credo che giochi bene, crei tante occasioni, può perfino influire su alcune scelte: se Del Piero cade in area penso che l’abbiano agganciato e lo stesso vale oggi per Lautaro, che fa gol in ogni partita.

La verità è che, a meno di miracoli, dopo Calciopoli Inter e Juve rimarranno questa storia qui: ladri, cartonati e prescritti, che poi suonano proprio male. Per questo ben venga la battuta di Allegri, fatta senza rancore.

Zampini – Quindi ci dobbiamo rassegnare? Potrò scrivere altri libri sempre uguali sull’ossessione per la Juventus e su questo clima in cui se la Juve vince nove scudetti di fila è per un cartellino giallo mancato e Ronaldo viene ricordato solo per un presunto fallo di ventisette anni fa?

Dalai – Abbiamo fatto bene a fare questo dialogo e non dobbiamo rassegnarci, perché io coltivo una speranza: che chi va in campo sia meglio di chi la guarda da fuori, istituzioni comprese. I giocatori hanno dimostrato tante volte di essere più maturi del contorno. Poi ci sono degli incidenti di percorso, perché c’è Lukaku con Danilo e poi anche Cuadrado, ma questi ragazzi non sono contaminati da questa porcheria infinita che circonda il calcio. La speranza, per quanto riguarda me e te, è di continuare a sfotterci amabilmente già da domenica sera, anche se siamo stati così ragionevoli in questo dialogo.

Juventus. Un'ossessione italiana. 38 scudetti, 9 consecutivi, 20 anni sotto processo: il calcio rovesciato e il colpevole perfetto - Massimo Zampini - copertina

Il libro “Juventus. Un’ossessione italiana. 38 scudetti, 9 consecutivi, 20 anni sotto processo: il calcio rovesciato e il colpevole perfetto” si può acquistare qui

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter