Una ragazza nella sua camera da letto, i capelli legati in una coda, il suo gatto appoggiato sul davanzale della finestra. Il ritmo del video, un loop che si ripete all’infinito, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e con decine di migliaia di persone costantemente collegate, è dettato dal movimento della sua penna sul foglio, dalla pagina che viene voltata, dal dondolare lento della coda dell’animale. D’inverno, invece, dalla neve che lentamente scende sulla città al di là del vetro.
È questo l’immaginario di uno dei più celebri video del canale YouTube Lofi Girl (accompagnato dal sottotitolo beats to relax/study to) che – con 14 milioni di iscritti – è il punto di riferimento della scena lo-fi, un universo di soft beat di matrice black (da qualche parte tra l’hip-hop, il jazz, l’r&b) conditi da piccole incursioni di rumori ambientali che suonano in un continuum temporale senza sosta. Un’estetica cozy, per citare il vocabolario dei suoi iscritti, un immaginario che rifacendosi ad una scena de I sospiri del mio cuore, opera dello Studio Ghibli con sceneggiatura di Hayao Miyazaki, rappresenta appieno l’idea dietro il mondo sonico pensato dai bedroom producer del lo-fi: un flusso di suoni che lentamente si fondono in un intimo rumore bianco che parla all’inconscio.
«Per l’ascoltatore è come se si entrasse in una sorta di mantra, di magma sonoro», spiega uno dei principali esponenti italiani della scena, Simone Eleuteri, in arte Fudasca (acronimo del concetto “FUori DAlla SCAtola”, italianizzazione di “Think outside the box”), riferendosi proprio a questi acquari armonici di muzak lo-fi che hanno trovato un’incredibile fortuna globale soprattutto negli anni della pandemia, quando il consumo di musica conciliante ha raggiunto i massimi storici (per intenderci, anche i video YouTube 24/7 che conteggiavano contagi e morti da Covid erano accompagnati da rassicuranti sottofondi lo-fi).
«Quando parliamo di lo-fi dobbiamo ricordarci che stiamo parlando di un macro-genere, ma anche tra i suoi sottogeneri c’è un’estetica sonora comune, una vibe condivisa che ritroviamo ad esempio nell’utilizzo di suoni legati alla natura. Il comune denominatore è da ricercare nell’incedere imperfetto delle batterie, in gergo chiamato drunk feeling, una componente umana di errore (voluto) che si rifà allo stile del producer americano J Dilla che punteggia le ritmiche con piccoli ritardi, errori sul tempo, che rendono il brano mai davvero quadrato sulla battuta, conferendo un’atmosfera più umana alla produzione».
Fudasca, come gran parte dei musicisti del genere, ha iniziato a registrare i suoi brani strumentali con chitarra, tastiere e computer in cameretta (il concetto di bedroom è fondamentale nel genere perché – proprio come la Lofi Girl – trasmette un senso di prossimità e intimità): «Quando inizi a far musica, e questo spesso accade in cameretta, c’è il rischio di perdersi nella frustrazione di non raggiungere il livello di perfezione dei generi con cui ti vuoi confrontare, per mancanza di mezzi, di strumentazione. Il lo-fi invece suona di per sé imperfetto, proprio come lo vorresti registrare. È a portata di mano».
Le sue produzioni attirano l’attenzione di un altro importante canale YouTube del genere, The Bootleg Boy, che lo inserisce nel suo gruppo Discord, una sorta di cantera per produttori, musicisti, cantanti in cui Eleuteri inizia a farsi le ossa collaborando con colleghi sparsi nel mondo e pubblicando con una certa costanza in questo grande contenitore digitale di suono. È il 2018 e The Bootleg Boy conta circa trecentomila iscritti. Ora il canale ha raggiunto i quattro milioni e trecentomila iscritti e ospita 1300 video tra accoglienti set da ascoltare in background e brani inediti tra i quali quelli di Fudasca che, diventato nel frattempo un producer tout-a-court, macina milioni di stream su Spotify (la sua traccia più ascoltata, I Wrote You a Letter, con Thomas Reid, ha superato i 15 milioni) anche grazie alla viralità della sua musica su playlist come Tear Drop, Indie Chillout, Sad Lofi Songs, che contano centinaia di migliaia di follower.
Proprio grazie a questo sottobosco artistico radunato attorno The Bootleg Boy, Fudasca negli anni ha collaborato con artisti sparsi in ogni parte del mondo, dagli States all’Italia (dove ha prodotto brani per e con Massimo Pericolo, gli Psicologi, Tredici Pietro, Willie Peyote), dal Canada alla Corea del Sud, pur rimanendo sempre fedele a Genzano, la sua città d’origine tra i Castelli Romani.
E qui, fuori da ogni distrazione, nascosto da colline, e in mezzo a distese di verde, che si trova il suo home-studio (upgrade dell’idea di cameretta): «L’ambiente influenza in maniera decisiva la musica che fai; e io non voglio perdere quell’intimità che raggiungo qui». Su Instagram si direbbe “vita lenta”, quell’esistenza scandita come in un tempo lontano, un passato in cui l’ipervelocità del contemporaneo è sostituita da una calma rincuorante: «Rallentare è un pensiero coerente nell’idea di musica che produco, un carattere intrinseco. Andando via da questi luoghi, anche solo a Roma che è qui vicino, o a Milano, ho come la sensazione che farei molta fatica a fare questo tipo di musica, la mia musica. Rimanere radicati qui è parte del mio suono».
Mentre la vita tra i colli scorre nella sua lentezza naturale, la carriera di Fudasca corre tra i continenti traendo ispirazione dal quotidiano: «Spesso mi chiedo come mettere in musica una certa situazione che vivo o che osservo», spiega riflettendoci su, «come se mi immaginassi la colonna sonora più adatta a questi episodi a cui assisto». Lui la definisce capacità di “colorare l’aria” perché nella sua visione «la musica ha il potere di cambiare la realtà che ti circonda e che stai vivendo. Il brano che scegli di ascoltare può cambiare la scena in cui ti trovi, tenerti lì o trasportarti altrove». E aggiunge: «Per me il ritmo è proprio questo, è trasporto». Il lo-fi, con la sua estetica da anime giapponese, la sua pioggia di sottofondo e l’errore come canone, la sua eterna adolescenza (non a caso i canali citati contengono le parole girl e boy) interpreta così una possibilità di trasporto al di fuori della realtà, della società, in un luogo mentale sospeso dove tutto si attenua diventando confortante e confortevole. Perché è vero quello dicono: lo-fi is a vibe.
In un mondo che punta alla superficie liscia delle cose, l’errore diventa una reazione: «I generi si sviluppano in certi luoghi e momenti», dice il producer, «e in una società dove tutto deve essere perfetto e il margine d’errore al minimo, un genere che risponde a quel senso di plastica del quotidiano, accettando l’errore, lo sporco, l’imperfezione, è un gesto di protesta». Una chiave di lettura che spiegherebbe il successo del lo-fi tra le nuove generazioni, che sfruttano quei canali e quelle playlist come radio di flusso in cui non è tanto importante l’autore del brano, quanto l’amalgama sonora in cui potersi rilassare.
L’universo lo-fi è un unicum nelle scene musicali di questi anni: è capace di consigliare una riposta a una ricerca sempre più insistente nei più giovani di riscoprire e risincronizzarsi al ritmo della vita lenta, un racconto mitico di un passato analogico mai vissuto. Così il digitale diventa improvvisamente un luogo caldo, accogliente, comprensivo. O, come nelle parole di Fudasca, «un habitat, un luogo dove rallentare».