I democratici americani provano a vincere le elezioni presidenziali del 5 novembre puntando su due sole questioni: l’aborto cancellato dai giudici militanti di Trump e le buone sensazioni che Kamala Harris e il suo vice Tim Walz trasmettono agli elettori.
Il motivo per cui Kamala sta crescendo nei sondaggi, ha confermato Bill Clinton dal palco della convention, è perché «siamo felici». Joy, gioia, è la parola chiave della campagna elettorale democratica, e della convention di Chicago, contrapposta alle «tenebre» trumpiane.
L’atteso intervento di Walz, il Ted Lasso della politica americana, è servito a raccontare agli elettori la sua traiettoria personale, sconosciuta ai più. Walz ha parlato da professore di scuola, da allenatore di football, da soldato, da cacciatore, da papà che ha fatto due figli grazie a quell’inseminazione artificiale che i repubblicani vorrebbero limitare, da governatore che ha fornito pasti gratis agli studenti del Minnesota e riscritto la legge sull’aborto. «Fatevi gli affari vostri», ha detto Walz ai trumpiani che pretendono di decidere sul corpo delle donne e di limitare altre libertà americane.
Prima di Walz hanno parlato le nuove leve del partito, ma soltanto dopo un lungo intervento perlopiù a braccio di Bill Clinton, una rarità in una convention con i tempi contingentati e i messaggi sorvegliati. Visibilmente invecchiato, ma come ha ricordato lui stesso pur sempre più giovane di Trump, Clinton ha ricordato che dalla fine della guerra fredda l’America ha creato cinquantuno milioni di nuovi posti di lavoro, cinquanta dei quali durante le amministrazioni democratiche e soltanto uno dai repubblicani.
Clinton è uscito di scena con la canzone dei Fleetwood Mac, “Don’t stop (thinking about tomorrow)”, che fece da colonna sonora alla sua prima campagna presidenziale. Dopo di lui è arrivata a sorpresa Oprah Winfrey, la regina dello star system americano, capace di parlare in modo edificante e nazional popolare allo stesso tempo: «Quando Kamala, la figlia di due immigrati, entrerà alla Casa Bianca, be’, questo è il meglio della America». Messaggio virtuoso anche quello della poetessa Amanda Gorman: «Non dobbiamo soltanto credere nel sogno americano. Dobbiamo meritarcelo».
In tempi di disintermediazione sociale, di leadership personalistiche, di movimenti populisti che hanno travolto la politica di qua e di là dell’oceano, la buona notizia della convention democratica di Chicago è che in America c’è almeno un partito politico tradizionale, ed è anche in buona salute. Lo stesso non si può dire dei repubblicani, trasformati da Trump in una holding personale che controlla alcune sette estremiste popolate di «weird people», di picchiatelli.
I partiti veri sono essenziali per il buon funzionamento delle istituzioni e della democrazia, e il partito democratico che si è visto a Chicago è una coalizione ideologicamente molto ampia e capace di contenere Bernie Sanders e Alexandra Ocasio-Cortez, i Clinton, gli Obama e i governatori locali, la comunità ebraica e gli arabo-americani, i deputati musulmani e i genitori degli ostaggi di Hamas a Gaza, ieri molto coccolati dalla convention, gli afroamericani e la classe media bianca.
I democratici hanno mostrato una vitalità inaspettata fino al mese scorso, certamente grazie a Kamala Harris e a Tim Walz, ma hanno anche presentato agli americani una nuova generazione di politici di notevoli capacità comunicative che sembrano perfettamente in grado di sostituire la generazione di Biden, di Pelosi, anche lei intervenuta ieri sera, di Clinton e finanche di Obama.
Ieri notte (italiana) hanno parlato i più brillanti nuovi oratori democratici: oltre a Walz, il ministro dei Trasporti Pete Buttigieg («non abbiamo bisogno di altre tenebre»), il governatore del Maryland Wes Moore, il leader alla Camera Hakeem Jeffreys, quell’Obama in sedicesimo che si chiama Josh Shapiro, eletto governatore della Pennsylvania due anni fa stracciando l’avversario trumpiano di quindici punti in uno degli stati più divisi del paese. E giovedì notte toccherà alla governatrice del Michigan Gretchen Whitmer, che è stata la più credibile alternativa a Kamala Harris per sostituire Biden.
Ora questo diventerà il partito di Kamala, ma intanto tutti lavorano per vincere a novembre e lasciare ancora i democratici alla Casa Bianca dopo Biden. Eppure non sono passati inosservati gli interventi di Shapiro alla delegazione della Carolina del Sud e di Whitmer davanti ai delegati dell’Iowa, perché l’Iowa è tradizionalmente lo Stato che avvia il processo delle primarie presidenziali e la Carolina del Sud è il primo a votare tra gli Stati a fortissima maggioranza nera, e quindi fondamentale per testare i candidati democratici di fronte all’elettorato afroamericano.
Vai a sapere se si tratta dei primi timidi passi per il 2028, se le cose dovessero andare male per Kamala il 5 novembre di quest’anno, oppure di un prematuro pensierino al 2032, quando Harris non si potrà più candidare. In ogni caso è la testimonianza che il partito democratico americano è destinato a un futuro interessante. Il partito democratico è una grande tenda con tanti talenti, ciascuno dei quali capace di attrarre elettori diversi, quelli che amano Obama, i nostalgici di Biden e Clinton, i socialisti di Sanders, i nuovi socialdemocratici di Ocasio-Cortez, i liberal, i conservatori, i repubblicani delusi dalla trasformazione del loro partito in un culto (ieri molto presenti sul palco di Chicago).
Tutti uniti certamente dall’obiettivo di tenere Trump lontano dalla Casa Bianca, e di salvaguardare la società aperta, la libertà e lo stato di diritto, ma la convention ha dimostrato che al di là delle differenze ideologiche e programmatiche, peraltro tenute sotto traccia, esiste una diffusa condivisione dei fondamentali della convivenza civile da conservare e da rinnovare, prima di tornare a dividersi su questa o quella idea, su questo o quel provvedimento.
Il partito democratico riunito a Chicago non è un movimento come lo era ai tempi di Obama, non è nemmeno una coalizione di minoranze come aveva provato Hillary Clinton nel 2016: questo è un partito, un partito vero, vario, credibile e ampio, un partito di cui ha bisogno l’America, e non solo l’America. Certo, sarebbe meglio averne almeno due.