La scomparsa dalla circolazione di Giorgia Meloni che ieri ha fatto lavorare diversi cronisti è una metafora della realtà italiana. Giorgia disparue ha fatto venire in mente, a occhi chiusi, una domanda: senza Meloni, cosa cambierebbe? Gli ospedali funzionerebbero peggio? I treni arriverebbero più in ritardo di quanto non sia oggi? I diritti civili verrebbero lesionati? Crollerebbe l’occupazione? Rovesciando la questione la domanda vera diventa un’altra: con Meloni al potere è cambiato qualcosa?
A due anni ormai dalla presa di palazzo Chigi, dunque quasi a metà della legislatura nera, la risposta, certo inevitabilmente generica ma sufficientemente argomentabile, è questa: con la destra al governo concretamente non è cambiato nulla. Lasciamo stare la Rai che è sempre più un suk arabo, e lasciamo perdere anche le algide tabelline dell’Istat che certificano gli zero virgola: in Italia, onestamente, non stiamo messi meglio di due anni fa. Prima di questo governo, almeno c’era Mario Draghi e la sua forza intellettuale e la sapienza tecnica che si facevano sentire anche all’estero. Il “Draghi” di oggi è Raffaele Fitto, e ho detto tutto, avrebbe commentato Peppino De Filippo.
Non è nemmeno un problema di personale politico, anche se solo un pazzo o un tifoso sfegatato poteva pensare che il salto da Colle Oppio al G7 potesse essere facile come per Paola Egonu sparare una bordata nei tre metri. Questi non sanno niente, e in più il vero dramma sono le idee: non ne ha, non ne hanno. E quando ne hanno, le annacquano nel veleno dell’arroganza e dell’autoreferenzialità (sul premierato se chiedessero una mano a gente che ne mastica forse lo porterebbero a casa. Così, no). E quando un alleato ha un progetto poco poco civile, come Forza Italia sullo ius scholae, gli tagliano le mani: non se ne farà niente, cadrebbe il governo, e Antonio Tajani non è certo Pietro Nenni pronto a rompere con la Democrazia cristiana.
In due anni la destra meloniana non ha preso nessuno, anzi, ha mandato Matteo Renzi dall’altra parte (e lei se l’è legata al dito), ha scommesso su Marine Le Pen e Donald Trump: battuta la prima, in crisi il secondo. Non capendo né i processi reali né che la politica è far accadere le cose con un certo ordine, Giorgia Meloni innervosisce il dibattito pubblico e al massimo eccita la curva Nord, ma il Paese ne può giusto chiacchierare al bar o sproloquiare su X dell’amico Elon Musk, dopodiché gli italiani hanno altro da fare, curarsi senza andare in bolletta, dare un’educazione a una generazione disillusa già a quindici anni, far quadrare i bilanci dell’azienda o del negozietto, pagare mutui e affitti fuori dal mondo.
Dov’è Meloni nella materialità di vite difficili, dov’è questa giovane premier che non sa di economia e snobba la grande cultura in nome di una critica astratta e astrusa all’egemonia della sinistra, buttando così nell’acqua sporca Jean-Paul Sartre e Andrej Zdanov? Dunque, che incredibile metafora, la sparizione di Giorgia, che se c’è o non c’è è la stessa cosa. Ed esserci o non esserci, come i peggiori governanti della Prima Repubblica, non è per nulla edificante, per una come lei.