Eccole, papà, le donne di cui ci parlavi sempre, da vecchio perfino più spesso. Quelle tue donne io le ho viste, nella prima settimana di guerra. Erano in un video su YouTube, pensa un po’, tu che sei morto senza nemmeno sapere YouTube cosa sia. Avevano felpe e ciabatte, quelle mitiche creature senza le quali tu oggi saresti un nome in un ossario, o un nome e basta, e io non esisterei. Erano nel video di quel soldato russo, magro, pallido, giovanissimo.
Ha guance pallide chiazzate di rosso, in una mano una tazza di thè con il vapore che si condensa, nell’altra un pezzo di pane. È in balia di singulti che lo scuotono come un cencio bagnato. Se addenta il pane mentre singhiozza così, mi trovo a pensare, gli va di traverso.
È l’unico maschio nel video, il soldato ragazzino. Lo circondano donne, solo donne, eccole lì le tue famose donne, la fonte di ogni tuo bene, non avrei mai pensato di vederle ora che sono più di dieci anni da quando sei andato avanti, come dite voi alpini, e ottanta da quando ti hanno salvato. Una di queste donne gli porge un cellulare e gli dice, con il tono che si usa con i figli adolescenti che non hanno fatto i compiti: chiama tua madre, falle sapere che sei ancora vivo.
Era l’inizio del marzo 2022 quando ho visto quel video. L’invasione su grande scala dell’Ucraina, anzi l’operazione militare speciale, come a quel ragazzino in divisa era stato detto che si chiamava, era cominciata circa una settimana prima.
In quel preciso momento, ma altrove, certi suoi altri commilitoni stavano chiudendo vecchi, donne e bambini dentro bui scantinati dove parecchi sarebbero morti di stenti e di freddo. Altri stavano mitragliando passanti, ciclisti, gente in giro col cane, poi ne avrebbero lasciato i cadaveri per strada come cartaccia, insepolti per settimane.
Nel preciso momento in cui la donna porgeva con brusca compassione il telefono al ragazzino, altri soldati con la sua stessa divisa, dopo aver preso il viagra fornito dai comandanti, stavano stuprando donne, ragazze, bambine e almeno una neonata; qualcuna l’avrebbero lasciata tornare a casa, ad altre ci sarebbero passati sopra con i cingolati.
Ma questo ancora non lo sapevano né le donne in ciabatte che lo attorniavano, né lui. Non lo sapevo io che guardavo il video. Non lo sapeva ancora nessuno.
In quei primi giorni di guerra, ben pochi di noi fuori dall’Ucraina avevamo sentito il toponimo Buča; non avevamo ancora visto i corpi abbandonati lungo la strada, la foto della mano annerita che stringe il portachiavi con la bandiera blu a stelle gialle – la nostra bandiera di Europei – o quella di un’altra mano, sempre nera di morte ma con lo smalto rosso elegantissimo. Non avevamo ancora visto le immagini satellitari delle fosse comuni alla periferia di Mariupol’. Di Mariupol’, anzi, non avevamo mai sentito il nome, e solo quando è stato troppo tardi abbiamo appreso che era stata una bella città con vivaci caffè sul lungomare.
Tratto da “Piedi freddi” (Bompiani) di Francesca Melandri, pp.11, 16,15€