Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (ci si iscrive qui) – È ancora presto per parlare di una relazione diretta tra le recenti alluvioni nell’Europa centrale – sono morte più di venti persone e ci sono numerosi dispersi – e il cambiamento climatico di origine antropica. Poco importa, però: il trend climatico degli ultimi decenni è inequivocabile, e i verdetti della scienza dell’attribuzione, che si occupa di certificare o meno i rapporti tra un singolo evento meteorologico estremo e il riscaldamento globale, non devono essere una scusa per minimizzare la portata dell’emergenza più pervasiva della nostra epoca.
«Le precipitazioni catastrofiche che hanno colpito l’Europa centrale sono esattamente ciò che gli scienziati si aspettano dal cambiamento climatico», dice Joyce Kimutai, ricercatrice del Grantham institute dell’Imperial college di Londra, in un’intervista al Guardian. Ora la perturbazione si è spostata verso sud e sta causando disagi anche in Italia, soprattutto in Emilia-Romagna. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale, i fenomeni come la tempesta Boris sono quintuplicati tra il 1970 e il 2019. Stando a una ricerca pubblicata ad aprile su Nature, i danni economici del cambiamento climatico hanno già superato (di sei volte) i costi della transizione verde.
Un nuovo studio, pubblicato il 9 settembre su Nature Geoscience, ha mostrato che la sovrapposizione tra il riscaldamento globale e la variabilità meteorologica produce cambiamenti rapidissimi, sia nelle temperature che nelle piogge. Ci siamo appena lasciati alle spalle un’estate poco piovosa e torrida (la più calda di sempre), mentre ora mezzo mondo è in preda alle alluvioni. È un’estremizzazione climatica che sta mettendo a dura prova la nostra capacità di reazione.
Bisogna mettersi al riparo, che significa anche proteggersi finanziariamente dai danni economici causati dagli eventi meteorologici estremi. Le assicurazioni contro i disastri ambientali, infatti, sono tra i pilastri delle strategie di adattamento alla crisi climatica. Ma secondo l’Eiopa, l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali, nel nostro continente solo un quarto delle perdite dovute alle catastrofi naturali è coperto a livello assicurativo.
Le cause sono tante e hanno radici culturali, normative ed economiche. La realtà è che il tema delle “assicurazioni climatiche” è di nicchia anche nei Paesi più ricchi e con tassi di scolarizzazione elevati. A poco o nulla è servito il recente grido d’allarme di Hillary Clinton: «Dobbiamo ripensare il settore assicurativo», ha detto l’ex segretaria di Stato americana durante un panel organizzato a Dubai per la Cop28.
L’Italia, a causa della presenza del mar Mediterraneo, è considerata un vero e proprio «hotspot climatico». Negli ultimi decenni abbiamo tombato fiumi, costruito palazzi nelle zone a rischio idrogeologico e trasformato le città in enormi isole di calore, rendendo il nostro territorio particolarmente esposto agli eventi estremi (nel 2023 sono aumentati del ventidue per cento rispetto al 2022). Ma la nostra “vulnerabilità climatica” è inversamente proporzionale alla nostra copertura assicurativa per minimizzare i danni economici del cambiamento climatico.
Secondo l’Eiopa, l’Italia è assieme alla Grecia il Paese dell’Unione europea con il più alto gap di protezione assicurativa dalle catastrofi naturali (vedi grafico qui sotto): «Questi due Paesi presentano rischi elevati e una penetrazione assicurativa molto bassa», sottolinea l’organismo dell’Ue con sede a Francoforte. In più, siamo al venticinquesimo posto tra i Paesi Ocse per i premi assicurativi nel “ramo danni”: 1,9 per cento del Pil contro il 4,6 per cento della Francia, il 3,9 per cento della Germania e il 2,9 per cento di Regno Unito e Spagna. Il divario più alto si riscontra per i terremoti e le alluvioni, seguiti da incendi e tempeste di vario genere.
L’ultima legge di bilancio ha introdotto l’obbligo per le imprese di assicurarsi contro gli eventi meteo estremi entro il 31 dicembre di quest’anno, con sanzioni che possono toccare quota un milione di euro. Ma non basta. Stando a un documento dell’aprile 2024 a firma di Sauro Mostarda, Ceo dell’intermediario assicurativo indipendente Lokky, l’emergenza climatica «mette in luce anche l’urgenza di ampliare la copertura assicurativa, estendendola non solo alle imprese, ma anche alle famiglie. La legge impone l’obbligo di assicurarsi soltanto per determinati eventi, come sismi, alluvioni, frane, inondazioni ed esondazioni, escludendo altri possibili rischi».
Secondo i dati dell’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (Ania), in Italia nel 2023 la raccolta premi per i rischi climatici ha raggiunto i 2,1 miliardi di euro, ossia il sei per cento del totale del “ramo danni”. Si tratta di una crescita timida, soprattutto se facciamo uno zoom sulle varie Regioni. Lokky, in un documento dell’agosto 2024, ha segnalato «una marcata disparità tra Nord e Sud», e nemmeno al Settentrione la copertura risulta adeguata rispetto ai potenziali danni degli eventi estremi. Secondo Legambiente, nel 2023 ci sono stati duecentodieci disastri ambientali al Nord, novantotto al Centro e settanta al Sud. Quest’ultimo, però, è alle prese con una siccità ormai cronica, che sfugge ai numeri sulle singole catastrofi naturali.
Il problema è ovviamente di natura globale. In Florida, spiega a Green&Blue Lindsay Keenan di Insure our future, «i prezzi delle assicurazioni per le case sono triplicati dal 2019 a oggi, passando da 1.988 a seimila dollari in media»; nello Stato Usa, particolarmente soggetto a uragani, molti operatori assicurativi si sono ritirati, lasciando il mercato nelle mani di pochi soggetti. Insure our future, una campagna contro i legami tra le grandi compagnie assicurative e l’industria dei combustibili fossili, ha parlato di «uninsurable crisis», crisi non assicurabile, perché il cambiamento climatico galoppa e i soldi sono tutt’altro che infiniti.
Secondo l’Ocse, l’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi meteorologici estremi potrebbe «potenzialmente limitare la disponibilità di assicurazioni accessibili in futuro», perciò «la riduzione del rischio attraverso l’adattamento ai cambiamenti climatici sarà l’unico mezzo sostenibile per limitare l’aumento dei danni e delle perdite climatiche future», ma anche per scongiurare «potenziali perturbazioni dei mercati assicurativi».