La Commissione toponomastica del Comune di Torino ha intitolato a Pannella una “Passeggiata” nel cuore della Città. Pannella, se fosse vivo, avrebbe ringraziato, ma avrebbe controproposto di intitolarla alla causa della libertà dell’Ucraina, dell’Italia e dell’Europa.
Sabato mattina è stata inaugurata a Torino la “Passeggiata Marco Pannella”, che è una sorta di lussuosissimo spartitraffico, ampio e alberato, che conduce da Corso Giuseppe Siccardi, il Ministro della Giustizia che ha dato il nome alle leggi che decretarono nel 1850 la separazione tra Stato e Chiesa nel Regno di Sardegna, attraverso via Giuseppe Garibaldi a Piazza Savoia, che proprio quelle laicissime leggi risorgimentali celebra con un imponente obelisco eretto al suo centro nel 1853.
Non sappiamo quanto in questa scelta troppo bella per essere vera e di cui il beneficiario sarebbe inorgoglito e divertito, per la precisione delle consonanze toponomastiche, si debba alla diligenza storiografica della burocrazia comunale e quanto all’impegno e all’estro di Sergio Rovasio, storico e torinesissimo capo della segreteria di Marco Pannella per oltre un trentennio, che si è cimentato in questa impresa con la stessa pazienza e acribia militante, con cui negli anni ha secondato e arginato le impuntature del principale.
Rimane però il fatto che la preposta, come usa dire, commissione del Comune di Torino ha approvato all’unanimità questa decisione e unanime è stato il tributo delle istituzioni locali all’inaugurazione della targa commemorativa, in una cerimonia troppo mortuaria per essere davvero pannelliana, a cui è seguita una ben più interessante maratona oratoria – durata come d’uso svariate ore e molto più disertata dell’appuntamento precedente, per l’assenza di fotografi e tv – di storici dirigenti radicali nazionali e locali (tra gli altri: Rita Bernardini, Lorenzo Strik Lievers, Bruno Mellano, Silvja Manzi, Matteo Angioli, Diego Sabatinelli, Niccolò Rinaldi, Lorenzo Cabulliese, Giulio Manfredi, Igor Boni…) e militanti e appassionati di quella vicenda politica, che hanno ripercorso ciascuno a suo modo la propria esperienza politica e i propri rapporti con Pannella.
Che al leader radicale sia stata intitolata una passeggiata e non un corso o una via è qualcosa di una precisione così geniale da apparire miracolosa, conformandosi sia alla sua eleganza di gran borghese meridionale, come non si vergognava di apparire, col suo francese sofisticato e fluente e i ricordi del prozio monsignore, sia al suo temperamento di uomo da marciapiede – «esco di casa alle tre di notte per piangere e amare» – come si vantava di essere, persuaso che la politica fosse una forma di vita, con gli inciampi, le ambiguità e le ambizioni del vissuto di ognuno e che solo in questa apparente soggettività stesse il senso della sua grandezza: non nei disegni di potere o di salvezza, in cui la verità personale è immolata alla menzogna collettiva della Storia, della Rivoluzione o della Nazione…
Essendo le passeggiate fatte più di riflessioni, con se stessi o con gli altri, che di passi, c’è da sperare che anche quella intitolata al leader radicale sia percorsa da pensieri tanto classici quanto irregolari, secondo la cifra dell’anticonformismo pannelliano, che ha abitato la casa della Repubblica con il massimo di adesione e di rispetto delle sue regole – fu spettacolare nel 1976 l’irruzione della pattuglia radicale alla Camera, con una opposizione spietata, ma tutt’altro che eversiva, condotta in nome delle stesse norme del Regolamento del Parlamento – e con il massimo di fantasia e di contestazione delle liturgie di Palazzo – come Pannella fece attaccando la cornetta di un telefono al circuito chiuso della Camera e inventandosi Radio Radicale – secondo un costume a un tempo irreprensibile e intollerabile.
Visto che, come diceva Sciascia (a suo modo, un altro pannelliano), le coincidenze sono le sole cose sicure nella vita, questa festosa celebrazione torinese ha pressoché coinciso con un atto politico – il voto unanime dei partiti italiani al Parlamento europeo contro la revoca delle restrizioni all’uso delle armi occidentali da parte dell’Ucraina sul territorio russo – che Pannella avrebbe certamente qualificato come un sintomo della “peste italiana”, cioè del disprezzo della verità, del diritto e della libertà come necessario fondamento patriottico dell’azione politica.
Il leader radicale, che a metà degli anni ’80 vaticinava come una Cassandra l’esplosione dell’ex Jugoslavia, che si sarebbe materializzata cinque o sei anni dopo, già durante le guerre cecene – quasi un quarto di secolo fa – aveva provato inutilmente a spiegare che il putinismo sarebbe diventato un nemico esistenziale per le democrazie occidentali e che i compromessi con il Cremlino avrebbero replicato gli esiti dell’appeasement con il nazismo.
Pannella, che fu l’unico politico europeo a presenziare ai funerali di Anna Politkovskaja nel 2006, per poi tornare a Bruxelles a urlare il senso della vergogna nell’aula dell’Europarlamento per quella sconfinata solitudine, oggi sarebbe il solo politico italiano a dire che la libertà dell’Ucraina è quella dell’Italia e dell’Europa e che qualunque mediazione precipiterebbe il continente non solo nella logica di Monaco, ma direttamente in quella di Vichy.
Ma Pannella è morto, anche se gloriosamente tumulato in queste celebrazioni bipartisan, quindi nessuno lo dice. Se però Pannella fosse vivo, oggi sarebbe nelle trincee del Donbas, come nel 1991, con Olivier Dupuis, andò in divisa croata nella trincea di Osijek in Croazia. E, pur ringraziando per il pensiero, chiederebbe che la sua Passeggiata torinese non fosse intitolata a un grande politico morto, ma a un’urgenza politica viva: Slava Ukraïni.