Cartoline dal NottinghamshireLa patria della rivoluzione industriale chiude la sua ultima centrale a carbone

Lo spegnimento dell’impianto britannico fa parte di un processo strategico e ambizioso, iniziato quasi un decennio fa, che sorprende per la sua rapidità. Ora il primo ministro Keir Starmer vuole completare l’opera

AP Photo/LaPresse (ph. Rui Vieira)

Nel cuore della campagna inglese, le torri di raffreddamento della centrale di Ratcliffe-on-Soar si stagliano maestose verso il cielo del Nottinghamshire. Sono simboli monumentali di un’epoca ormai al tramonto. Come antichi colossi di cemento, le strutture appaiono quasi fuori luogo in una distesa verde, avvolte da un silenzio surreale, interrotto solo dal ronzio delle ultime macchine in funzione, ora spente per sempre. 

Il vapore che per decenni ha coperto questo cielo è stato disperso per l’ultima volta lunedì 30 settembre, quando le turbine dell’ultima centrale elettrica a vapore britannica si sono fermate definitivamente. È stato scritto il finale di una storia che ha plasmato il volto energetico del Regno Unito per oltre un secolo. E se si cerca una data simbolica per segnare il cammino dell’umanità verso il rallentamento del cambiamento climatico globale, questo è l’evento giusto.

Commentando la chiusura della centrale, l’ex presidente del Climate Change Committee (Ccc), John Gummer, ha dichiarato: «Il re carbone è morto. Lunga vita ai suoi successori sostenibili. Questo è il giorno in cui finalmente riconosciamo che possiamo avere energia senza che questa costi caro alla Terra».

Il Regno Unito, la patria della rivoluzione industriale, è diventato infatti il primo Paese del G7 a chiudere tutte le centrali elettriche a carbone sul territorio nazionale. Un momento storico, emblematico, soprattutto per un Paese che, a partire dal XIX secolo, ha costruito la sua economia e potenza industriale proprio sulla combustione del carbone.

La centrale di Ratcliffe-on-Soar, inaugurata nel 1968, ha alimentato il Regno Unito per ben cinquantasette anni. Situata strategicamente vicino alle ricche miniere di carbone del Nottinghamshire, per decenni ha bruciato milioni di tonnellate di combustibile fossile per riscaldare e illuminare le case dei cittadini britannici, divenendo uno dei pilastri del sistema energetico nazionale. Al suo apice, la centrale impiegava fino a tremila persone e rappresentava un simbolo di progresso e innovazione tecnologica. Ma con il passare del tempo, le fumanti torri, che una volta erano sinonimo visivo di potenza e modernità, sono diventate sempre più testimonianze di un’era che il mondo sta cercando di lasciarsi alle spalle.

La chiusura della centrale è parte di un processo strategico e ambizioso, iniziato quasi un decennio fa, che sorprende per la sua rapidità. Basti pensare che, secondo i dati, nel 2012 il carbone forniva ancora il quaranta per cento dell’elettricità al Paese, mentre oggi rappresenta appena l’un per cento.

Nel 2015, il governo britannico annunciò ufficialmente l’intenzione di eliminare gradualmente tutte le centrali elettriche a carbone entro il 2025. Questo annuncio segnò una svolta significativa nella politica energetica del Paese, che da quel momento iniziò a introdurre una serie di misure per incentivare l’uso delle energie rinnovabili e penalizzare l’uso del carbone, accelerando così la transizione verso un sistema energetico più sostenibile.

Una delle politiche chiave che ha giocato un ruolo determinante in questo processo è stata l’introduzione della Carbon price floor (Prezzo minimo del carbonio): una tassa imposta sulle emissioni di CO2 prodotte dalle centrali elettriche. Questa misura, introdotta nell’aprile del 2013, ha reso sempre più costoso per le centrali a carbone continuare a operare, spingendo molte di esse a ridurre drasticamente le loro ore di funzionamento o addirittura a chiudere. Il carbone, da principale fonte di energia nel Paese, è così passato a ricoprire un ruolo marginale nel giro di pochi anni.

Nel 2021, in vista della Cop26 a Glasgow, il governo britannico aveva deciso di anticipare la chiusura definitiva delle centrali a carbone dal 2025 al 2024, come segnale della sua leadership globale nella transizione energetica. La chiusura della centrale di Ratcliffe-on-Soar, l’ultima rimasta in funzione, è quindi il risultato di anni di politiche mirate e azioni concrete per ridurre l’uso del carbone.

«Oltre 140 anni fa, il Regno Unito è diventato il primo Paese al mondo ad aprire una centrale elettrica a carbone. Ma la chiusura della centrale elettrica di Ratcliffe-on-Soar significa che non bruceremo più carbone per generare elettricità. Questa è una pietra miliare importante nella nostra corsa verso un sistema energetico più pulito», ha commentato il ministro per la Sicurezza energetica e il Net Zero britannico, Ed Miliband. 

«La transizione è iniziata per via delle prove del contributo dannoso che la combustione del carbone ha avuto nel causare la crisi climatica», ha detto Miliband, aggiungendo: «Ma questo è più di un momento per celebrare il passaggio di un’era di fornitura energetica, è anche un’opportunità per imparare dal nostro passato. Proprio come il carbone ha alimentato il nostro paese, dandoci sicurezza energetica, così l’energia pulita può fare lo stesso. Questo è il punto centrale della missione di superpotenza energetica pulita del governo laburista: fornirci sicurezza energetica, libera dalla morsa di petro-stati e dittatori». 

La chiusura programmata della centrale elettrica è ambientata in un contesto di crescente sostegno pubblico alle energie rinnovabili. Un recente sondaggio, condotto da Climate outreach, ha rivelato che il settantasette per cento dei cittadini britannici desidera vedere un’espansione dei pannelli solari, il sessantanove per cento degli impianti solari, il settanta per cento dell’eolico offshore e il sessantacinque per cento dell’eolico onshore.

A riguardo, Rachael Orr, amministratore delegato di Climate outreach, ha dichiarato: «C’è un futuro di energia pulita davanti a noi per il nostro Paese, ed è un futuro che i britannici sono sempre più ansiosi di vedere. La stragrande maggioranza di noi è ora un grande fan delle energie rinnovabili, e c’è l’opportunità di alimentare un futuro più pulito e più sicuro dal punto di vista energetico». 

La chiusura della centrale di Ratcliffe-on-Soar arriva infatti in concomitanza con il rapporto del governo sulle tendenze energetiche del Paese, che mostra che le rinnovabili hanno rappresentato il 51,6 per cento della produzione totale di elettricità nel Regno Unito tra aprile e giugno di quest’anno. 

Il nuovo governo laburista ha grandi ambizioni per accelerare l’implementazione dell’energia sostenibile. Il primo ministro, Keir Starmer, ha già proposto importanti riforme strutturali e investimenti mirati nelle infrastrutture per garantire una produzione interna al cento per cento. L’obiettivo è quello di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050 e ristabilire la leadership climatica del Paese per affrontare la crisi climatica. È così che il Regno Unito, una volta patria della rivoluzione industriale alimentata a carbone, ora guida il cammino verso una nuova era.

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