Non se ne è parlato molto, ma a scioperare contro le ultime prodezze del governo Meloni al fianco di sindacati e medici ci saranno anche gli avvocati penalisti. L’Unione delle Camere penali ha indetto un’astensione dalle udienza dal 4 al 6 novembre con un convegno martedì prossimo a Roma che riunirà alcuni dei più importanti studiosi di diritto penale e costituzionale.
Il bersaglio della protesta è il recente dl “sicurezza”: un coacervo di norme ottusamente repressive fino a sfiorare l’involontaria comicità, come l’introduzione di un’aggravante nuova di ordine generale che prevede l’aumento delle pene per tutti i crimini commessi nelle stazioni e sui mezzi di trasporto.
Pensate a un hacker che si introduca da una stazione ferroviaria in un sistema informatico, o un reato di lesioni commesso su un autobus, e chiedetevi perché debba essere sanzionato di più rispetto allo stesso crimine consumato tra quattro mura: non troverete una risposta logica se non quella di un legislatore stordito da qualche spritz di troppo «a un’ora pericolosamente tarda del pomeriggio», come disse il procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli di un’esternazione dell’allora guardasigilli Alfredo Biondi.
Ermes Antonucci sul Foglio ha meritoriamente calcolato che si deve al governo Meloni il varo di «quarantotto nuovi reati e svariati aumenti di pena per un totale di 417 anni di carcere in più nel nostro ordinamento». Impallidiscono le grida manzoniane e le elucubrazioni di Azzeccagarbugli per cui anche l’educato e moderato Francesco Petrelli, presidente dell’Unione camere penali, ha perso la pazienza. Ha proclamato prima “lo stato di agitazione” dei penalisti e di fronte al poco educato rifiuto del ministro Carlo Nordio di presenziare al congresso nazionale dell’associazione ha proclamato lo “sciopero bianco”. Non è la prima volta che accade nella storia dell’Unione, ma questa volta la protesta assume i caratteri dell’eccezionalità, perché indetta contro un governo cui si guardava con fiducia e amicizia in ragione della reiterata promessa di portare in porto la madre di tutte le riforme penali: la separazione delle carriere. Cioè la “ragione sociale” delle Camere penali, il loro scopo fondativo.
Inoltre, Nordio aveva deciso di far proprio il disegno di legge proposto dall’Unione, con un’iniziativa di sottoscrizione popolare che ha raccolto settantamila firme (il problema è che a oggi il Parlamento non ha ancora calendarizzato la sua discussione). Ma intanto ad aumentare il malcontento, oltre i quarantotto nuovi reati, si è aggiunta la violenta polemica del governo contro i giudici di Roma e Bologna che si sono opposti alla passiva applicazione di un altro caposaldo legislativo: il dl “Paesi sicuri”. Come noto, con questo decreto si è dato il via a una procedura accelerata di rimpatri per i migranti provenienti da nazioni giudicate a insindacabile scelta dell’esecutivo Meloni come affidabili in quanto a tutela dei diritti elementari.
Una sentenza della Corte di Giustizia europea ha invece richiesto condizioni più attente e accurate per la valutazione, tra queste c’è la tutela delle minoranze, anche quelle di genere.
La sentenza ha scatenato una campagna di aggressione mediatica dell’attuale esecutivo che ha raggiunto toni di estrema volgarità contro alcuni dei giudici, additati come veri e propri nemici del governo. Ebbene l’offensiva ha provocato il sorprendente effetto di suscitare la solidarietà delle camere penali verso i magistrati. Un vero e proprio inedito.
Petrelli e la sua giunta hanno sostenuto la legittimità delle scelte dei tribunali di Roma e Bologna e negato che si possa parlare di «attacco giudiziario alla politica», una cosa mai vista in quarant’anni di vita dell’Unione. È noto che ai tempi dei governi Berlusconi si parlò di collateralismo tra le camere penali e la maggioranza di destra in cui repentinamente si trasferirono quali parlamentari due difensori del cavaliere, Gaetano Pecorella e Nicolò Ghedini, incidentalmente anche presidente e segretario dell’Ucpi. Invero, nel 2003, l’associazione dei penalisti, guidata da Ettore Randazzo indisse anch’essa un’astensione di protesta, lamentando, guarda caso, il ritardo nel varo della sospirata separazione delle carriere che pure Berlusconi aveva promesso senza mai realizzare. Corsi e ricorsi storici.
Non finisce qui, c’è il rischio di uno scontro ulteriore e più grave: l’ultima trovata dell’attuale maggioranza è quella di provare a inserire nel provvedimento sulla separazione delle carriere – addirittura in forma di emendamenti – una norma con la quale si stabilisce il primato delle leggi nazionali su quelle europee. Con l’obiettivo di disinnescare l’efficacia delle direttive e delle sentenze emesse dalle corti europee dei diritti umani e di giustizia.
Qui la manifesta ignoranza dei proponenti (due deputati leghisti) supera l’immaginazione: non è possibile modificare per via ordinaria un principio posto direttamente dalla Costituzione. Questo già la dice lunga sulla serietà dell’iniziativa, che tuttavia non va sottovalutata. Già in Ungheria il governo di Viktor Orbán ci ha provato, e tramite il controllo delle magistrature interne ha cercato di aggirare i trattati europei. Il risultato è stata l’apertura di una procedura di infrazione e la minaccia di sospensione dei fondi europei. Ovviamente Orbán si è piegato, ma inutile farsi illusioni: in questo clima di grande dilettantismo politico sono possibili anche disegni di sovranismo giudiziario. E in tale caso il risultato sarebbe quello di saldare la protesta dei magistrati con quella degli avvocati, come mai prima ipotizzabile.
Le corti e le direttive europee hanno consentito lo svecchiamento e la riformulazione in chiave garantista di diverse parti dell’ordinamento giuridico italiano. Per dire, senza le convenzioni e le sentenze applicative delle corti europee non sarebbe stato introdotto in Costituzione il giusto processo, cui a un certo si era opposta anche la consulta sotto la spinta corporativa della magistratura.
Oggi avvocati e magistrati sanno benissimo quale garanzia siano per i diritti e la loro autonomia la legislazione e la giurisdizione sovranazionale. Da qui non si può tornare indietro senza causare uno scontro inedito e devastante. E mentre questo pezzo viene scritto si parla di nuove spedizioni in Albania: lo scenario più cupo è a un passo.