Il caso GazaLa Corte dell’Aia e la legittimità della politica occidentale

Il mandato d’arresto per Netanyahu di fatto chiama in causa anche gli Stati Uniti, ed è proprio su Trump che conta il leader israeliano

La clamorosa decisione della corte penale internazionale di emettere un mandato di arresto contro il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e il suo ex ministro della Difesa, Yoav Gallant (oltre al capo militare di Hamas, Mohammed Deif, probabilmente già morto in un raid a Gaza) torna a sollevare il problema della legittimità della guerra e le accuse all’intero occidente di usare due pesi e due misure in materia di diritto internazionale e difesa dei diritti umani.

Anche perché, come nota Nicholas Kristof sul New York Times, se Israele ha commesso crimini di guerra a Gaza, lo ha fatto utilizzando armi fornite dagli americani; se ha tentato deliberatamente di ridurre alla fame i civili, lo ha potuto fare con la protezione degli Stati Uniti all’Onu, che hanno bloccato gli sforzi più incisivi per far arrivare cibo alla popolazione affamata.

Joe Biden aveva commentato la richiesta dei mandati di arresto da parte della procura dicendo che non era ammissibile alcuna equivalenza tra Israele e Hamas, Kristof sottolinea però come esista invece una perfetta equivalenza tra la vita di un bambino americano, di un bambino israeliano e di un bambino palestinese.

Le atrocità compiute da Hamas il 7 ottobre non sono un argomento sufficiente per chiudere la discussione: «Il punto è che i crimini di guerra commessi da una parte non giustificano ulteriori crimini di guerra commessi dall’altra».

E proprio nel momento in cui condanniamo le violazioni del diritto internazionale commesse in Ucraina da Vladimir Putin (su cui pende un’analoga richiesta di arresto), prosegue Kristof, come possiamo al tempo stesso «fornire armi che un tribunale internazionale suggerisce siano utilizzate per violazioni del diritto umanitario a Gaza?».

La conclusione del ragionamento è che sarebbe venuto il momento per un ripensamento della politica americana verso Israele. Ma il presidente eletto Donald Trump non mi sembra la persona più indicata per una simile svolta. Anzi, come scrive sul Corriere della sera Davide Frattini, è proprio su di lui che conta il primo ministro israeliano, nella speranza che eserciti pressioni sugli alleati perché non eseguano i mandati di arresto.

Una speranza forse non infondata, almeno a giudicare dalle prime dichiarazioni del governo italiano. Se infatti il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha definito la decisione della Corte sbagliata, ma ha aggiunto che se Netanyahu venisse in Italia bisognerebbe applicarla, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha usato parole molto diverse: «Valuteremo con gli alleati come comportarci».

Contrariamente a quanto si poteva pensare, evidentemente non sarà sull’Ucraina e la Russia di Putin, ma su Israele, Gaza e la posizione di Netanyahu che si misureranno le vere intenzioni e la reale influenza di Trump in politica estera, la sua scala di priorità e la sua capacità di costruire alleanze, fin dove vorrà e fin dove sarà effettivamente capace di spingersi.

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