Dopo l’alluvione del secolo Il lungo cammino della Comunità Valenciana verso la normalità

Lontani dai riflettori mediatici, i cittadini delle zone più colpite sono in balìa delle incertezze, tra scuole chiuse, polemiche politiche e strade ricoperte di fango

AP Photo/LaPresse (ph. Alberto Saiz)

Per Pili Pérez, una parrucchiera di Catarroja, una delle località della Comunità Valenciana colpite più duramente dall’alluvione di fine ottobre, ogni giorno è «il giorno della marmotta. Ci vestiamo, mettiamo gli stivali, andiamo a pulire e a mettere a posto, torniamo a letto», ha raccontato a El País. 

«In alcune strade ci sono i pompieri, in altre i militari, ma la maggior parte è vuota. Non si ha la sensazione che siano in corso grandi lavori di ricostruzione. E questo lo può vedere chiunque passi una giornata a passeggiare qui intorno, non ci vuole molto», ha commentato una volontaria del punto di accoglienza che ha preferito restare anonima. 

A più di un mese dal giorno in cui sul Sud-est della Spagna si è abbattuta «l’alluvione del secolo», nei luoghi più colpiti della Comunità Valenciana il cammino verso la normalità resta ancora lungo. Più di diecimila studenti devono ancora tornare a scuola. Centoventimila auto distrutte devono ancora essere portate via, ma non si sa bene quando e da chi. I punti per la distribuzione di cibo e prodotti restano aperti, ma nessuno sa ancora per quanto: la gente vuole tornare al lavoro, ma non sa bene quando e come. Centinaia di garage e strade restano pieni di fango, detriti e acque di scolo delle fogne: la puzza, in alcuni luoghi, è insopportabile. 

Neanche il numero delle vittime è una certezza. Al momento sono stati recuperati duecentoventidue cadaveri, ai quali si è aggiunto negli ultimi giorni quello di un operaio ucciso dal crollo di un edificio danneggiato dall’alluvione: restano quattro dispersi. Sappiamo, però, che più della metà delle vittime aveva più di sessant’anni e che la maggior parte è morta in spazi chiusi: in case e negozi al piano terra, in garage, ascensori e parcheggi sotterranei. 

Sappiamo che anche un secondo studio, oltre a quello pubblicato dal World weather attribution, elaborato da ClimaMeter, indica che l’alluvione è stata causata da «condizioni meteorologiche eccezionali» legate a un aumento dell’umidità della costa mediterranea del quindici per cento e a un incremento della temperatura del Mediterraneo di quasi quattro gradi. 

Sappiamo infine che la pessima gestione dell’alluvione e delle sue conseguenze nella Comunità Valenciana ha “salvato” altre regioni della Spagna, in particolare l’Andalusia, dove a inizio novembre l’allerta rossa dell’Agenzia meteorologica spagnola è stata presa sul serio, portando alla chiusura delle scuole e allo sgombero di circa quattromila persone: lì il passaggio della Dana non ha causato né vittime, né gravi danni.

«Sono rimasto fuori in segno di protesta, perché penso che questi funerali non avrebbero dovuto essere organizzati: ci sono ancora dei dispersi. Se stessi ancora cercando mia madre, questo gesto non mi sarebbe piaciuto», ha spiegato José Monrabal, abitante di Catarroja, in riferimento alla cerimonia organizzata lo scorso 9 dicembre nella cattedrale di Valencia, alla quale hanno partecipato circa quattrocento persone, tra cui anche i reali spagnoli e diversi esponenti del governo nazionale e di quello regionale. 

«Non posso andare a messa con i responsabili della morte di mio padre. Quando li ho visti arrivare, mi sono alzata e me ne sono andata in silenzio. Sono apolitica, ma le responsabilità di quel che è successo sono politiche: la regione non ha fatto bene il suo lavoro, ma non ci sono state conseguenze. Sono state a entrambe le manifestazioni, è vergognoso che non si sia dimesso nessuno», ha spiegato Sonia Fuster, abitante di Picanya, un altro dei comuni più colpiti dall’alluvione.

Nonostante infatti migliaia di cittadini siano scesi in strada, prima il 9 e poi il 30 novembre, per protestare contro la pessima gestione dell’alluvione e delle sue conseguenze da parte del governo regionale, poco è cambiato. Il presidente della Comunità Valenciana, Carlos Mazón, ha chiesto scusa ma non si è dimesso: anzi, ha dato la colpa a una serie di errori «del sistema» e ha accusato l’Agenzia meteorologica spagnola di aver diffuso fake news rispetto a come si sarebbe comportato durante le ore cruciali dell’alluvione. 

L’unico cambiamento è stato quello del suo esecutivo, che è passato da otto a dieci consiglieri, tra i quali spiccano due militari: il generale di brigata Benancio Aguado e l’ex tenente generale in pensione Francisco José Gan Pampols, nominato vicepresidente con delega alla ripresa economica e sociale.

Anche il primo ministro spagnolo, Pedro Sánchez, ha evitato qualsiasi autocritica nel suo discorso di fronte al parlamento, dove ha ribattuto che «non è stato il sistema a sbagliare, sono state alcune persone». Lo stesso ha fatto l’ex ministra per la Transizione ecologica, Teresa Ribera, il cui intervento era stato posto dal Partido popular (Pp, centrodestra) come condizione per sbloccare la sua approvazione come vicepresidente della Commissione europea e commissaria per una transizione giusta, pulita e competitiva. 

Alla fine, gli eurodeputati del Pp hanno comunque votato contro Ribera, che è stata eletta solo dopo intense negoziazioni tra popolari e socialdemocratici: in cambio, questi ultimi hanno dovuto sostenere infatti la candidatura di Raffaele Fitto alla vicepresidenza e quella dell’ungherese Olivér Várhelyi come commissario alla salute e al benessere animale. 

Oltre che in strada, durante le visite ufficiale e le manifestazioni, le prime conseguenze della gestione dell’alluvione iniziano a farsi sentire anche nei sondaggi: secondo uno studio realizzato dalla società di ricerche 40dB, il sessanta per cento degli abitanti della Comunità Valenciana ha perso la fiducia nelle istituzioni; nello specifico, il novante per cento ritiene che Mazón sia stato il politico meno efficace e i più convinti sono gli stessi elettori del Pp, il partito che sostiene il presidente della regione. Il 76,9 per cento crede che anche la risposta del governo centrale sia stata poco o per nulla efficace. 

A trasformare il malcontento in intenzioni di voto è stato soprattutto il partito di estrema destra Vox, sostenuto da un’ampia campagna di disinformazione e nonostante sia uno dei responsabili diretti dello smantellamento dei piani di emergenza della regione, con un aumento del quattro per cento. Il partito socialista di Sánchez guadagna un punto e mezzo, mentre il Pp ne perde quattro rispetto alle scorse elezioni regionali. 

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