In Italia l’uso giornalistico di luoghi comuni «medievali» dilaga. All’epidemia contribuiscono i discorsi dei politici, che da un lato assorbono il lessico dei mass media, dall’altro lo alimentano, in un interscambio di stereotipi che, ripetuti nel tempo, si consolidano. Non a caso gli storici accademici, medievisti in testa, sono spesso insofferenti nei confronti dei giornalisti e dei comunicatori a vario titolo (conduttori, influencer, youtuber, ecc.); tanto che di solito l’etichetta «stile giornalistico» equivale a una bocciatura quando, in ambiente universitario, si giudica un libro.
(…) È vero che gli stereotipi sul Medioevo sono diffusi in tutte le società con una matrice europea e cristiana, in Europa e fuori: basti pensare al fatto che il medievalismo, inteso come campo di studi dedicato all’esistenza di un rapporto tra il Medioevo che è esistito e il Medioevo immaginato successivamente, è nato negli anni Settanta e Ottanta del Novecento negli Stati Uniti. Però in Italia – per dirla con gli antichi – il genius loci esiste, al contrario di ciò che capita negli States, e ha fortissime radici nell’Evo di mezzo.
Non ci riferiamo qui all’abbondante produzione tricolore di sagre, feste, giostre, palii e rievocazioni, spesso proposti in chiave medievale: i cosiddetti «folclorevivalismi». A prescindere da questi eventi, gli italiani vivono, assai più di quelli di altri paesi con radici simili, in un’area in cui le tracce del Medioevo vero (prima di tutto architettoniche ma anche culturali e mentali) sono assai maggiori rispetto a quelle presenti in paesi limitrofi. Chi cresce in Italia è immerso in questo brodo di coltura e cultura; capita anche se il cittadino medio non se ne rende conto, abituato com’è a essere «dentro» l’eredità dell’Età di mezzo, cominciando dai tantissimi centri storici.
La sedimentazione culturale dell’epoca medievale rappresenta una caratteristica intrinseca dell’italianità. Quindi gli stereotipi italiani sono particolarmente significativi perché si manifestano in un laboratorio unico al mondo, dove lo spirito del luogo – il genius loci, appunto – sopravvive alle modifiche determinate da diversi assetti funzionali, sociali e culturali. Resiste confrontandosi continuamente con lo spirito del tempo, il genius saeculi (lo Zeitgeist caro alla filosofia romantico-idealistica tedesca); lo fa anche per mezzo dell’elaborazione del presente visto, in modo più o meno artificioso, attraverso le lenti di quel passato. L’imprinting determinato in Italia dalle circostanze esposte è fondamentale.
Ebbene, i giornalisti/comunicatori sono tra i principali, spesso inconsapevoli, artefici di questo imprinting. La parola «Medioevo» e l’aggettivo «medievale» da costoro vengono quasi sempre associati a tutto ciò che è «reazionario», «retrogrado», «integralista», «tradizionalista», «oscurantista»; spesso sono accompagnati dall’evocazione di presunti «secoli bui» in cui saremmo sul punto di ripiombare, di mai esistite «usanze medievali» che sarebbero state o sono ritenute ancora in voga.
Succede sugli organi di informazione tradizionali e online, nei discorsi di tanti esponenti politici (a prescindere dai partiti), sui social network. In ognuno di questi contesti non si perde l’occasione per «diffamare» l’Età di mezzo, nelle occasioni piú disparate: può accadere quando si discute di un disegno di legge contro l’omotransfobia e anche quando si dibatte di contratti di lavoro, di animalismo, persino, come già accennato, dei cantanti del Festival di Sanremo.
Qualsiasi circostanza che abbia l’aria di apparire antiquata è etichettata come «medievale». Tanto che i dizionari propongono, oltre alla definizione storiografica di «Medioevo», anche quella spregiativa. Per esempio: «Atteggiamento, comportamento anacronistico, retrivo: cose da medioevo», come riporta il Dizionario Italiano Sabatini Coletti. Parallelamente è assai frequente lo speculare tono entusiastico usato in una prospettiva turistica e promozionale; molto raro, ma presente, è l’uso encomiastico, come reazione isolata a prosaiche denigrazioni o sbandierato in contesti politici conservatori.
Pesa, sul radicamento di una certa «idea di Medioevo», un’epoca trasformata dai mass media e dalla politica in una miniera immaginaria da cui ricavare luoghi comuni buoni in tutte le salse. Quindi è opportuno che l’uso e l’abuso mediatico dell’Età di mezzo sia studiato dai medievisti che si occupano di medievalismo. Infatti – al di là delle competenze che ciascun cittadino può possedere in determinati settori – per quel che riguarda la conoscenza generalista vale ancora il punto di vista del sociologo e filosofo tedesco Niklas Luhmann. Luhmann, nel libro “La realtà dei mass media” (2000), applicando gli strumenti della teoria dei sistemi sociali, definisce il concetto espresso nel titolo: è una «seconda realtà», fatta di nozioni per mezzo delle quali si può parlare con le altre persone aspettandosi di essere capiti e di ottenere risposte. Ciò capita anche per quel che riguarda l’uso, l’abuso e il riuso del Medioevo.
Tratto da “Medi@evo” (Salerno) di Marco Brando, pp. 176, 17.00€