Nella “Prigioniera”, Marcel Proust scrive: «Che c’è di più usuale della menzogna, sia che si tratti di mascherare le debolezze quotidiane con una salute che si vuol far credere forte, di dissimulare un vizio, o di ottenere, senza urtare gli altri, la cosa che si preferisce? È lo strumento di conservazione più necessario e più usato». Mentire in effetti fa parte delle inveterate abitudine del politico essendo egli portato, per ingraziarsi l’opinione pubblica, a edulcorare la realtà sino a deformarla. Non è una caratteristica solo di Giorgia Meloni. L’esempio più fulgido in questo senso è Silvio Berlusconi, la cui frase «i ristoranti sono pieni» mentre lo spread esplodeva è rimasta famosa. Adesso lo spread va benissimo, ma malgrado la presidente del Consiglio dica che «l’Italia corre» il Paese è fermo.
La crescita prevista è dello 0.6 per cento. Il tasso di occupazione è al suo record storico, ma siamo dieci punti sotto la media europea. Denatalità, invecchiamento della popolazione, basso tasso di partecipazione al lavoro di donne e giovani, mentre pensiamo di gestire le migrazioni buttando soldi nella pagliacciata dei centri per migranti in Albania. La produzione industriale ha perso più di tre punti. Fare la spesa è diventato per milioni di italiani una tragedia. E questa sarebbe l’Italia che corre?
Il sospetto piuttosto inquietante è che lei ci creda sul serio. Berlusconi vedeva un modo tutto rosa perché viveva in un’altra dimensione, e poi il venditore ch’era in lui predominava, con dietro tutto il carico di fandonie. Ma Giorgia è una di noi, giusto?, per cui dovrebbe sapere che il Paese non va bene, altrimenti significa che abbiamo una presidente del Consiglio totalmente scollegata dalla realtà, il che configurerebbe un problema serio anche per lei personalmente. Se invece sa essere tutta propaganda, a Meloni dovrebbero spiegare che lo iato tra il suo racconto e la realtà disturba tanta gente: perché dunque passare per una venditrice di tappeti invece che per una leader di governo?
Ecco, a seguito di questo istintivo e primitivo rifiuto di parlare il linguaggio della verità, scatta il meccanismo che porta a non vedere più le cose come realmente sono, raccontando una storia falsa convincendosi che sia vera. Per cui chi protesta mente sapendo di mentire (i sindacati), chi critica è un nemico (i giornali), chi si oppone è un traditore (gli alleati), ed ecco nel frullatore della propaganda tutti gli ingredienti di una pozione molto pericolosa.
Di qui la sindrome paranoica sui complotti (di cui non si è più saputo nulla, forse perché non esistevano) e l’ansia di proteggere il suo castello incantato innanzi tutto piazzando uomini fedeli sulle torri di guardia (“All along the watchtower, princes kept the view” – “Lungo la torre di guardia, i prìncipi stavano all’erta”, Bob Dylan), pescando tra i più docili e fedeli.
Come Tommaso Foti nuovo ministro per il Piano nazionale di ripresa e resilienza, già missino, deputato di Alleanza nazionale dal 1996, che va a prendere il posto di Raffaele Fitto, uno che almeno con quella storia non c’entrava niente. Il neocapogruppo Galeazzo Bignami, quello che si travestiva da nazista per gioco, è ovviamente un altro fedelissimo anche se questo è più normale, trattandosi del gruppo parlamentare, ma certo non sembra un dialogante.
Il governo dunque non si apre a competenze estranee alla squadra nera che non vuole governare l’Italia, vuole prendersela, ganglo dopo ganglo, museo dopo museo, caporedattore dopo caporedattore. Senza fermarsi mai perché come diceva il Mascellone «chi si ferma è perduto», ma se continua così verrà l’ora degli scolapasta in testa, Dio non voglia, e forse per Giorgia Meloni sarebbe il caso, proprio perché adesso è forte, di aprirsi a mondi che non sono il suo, e di non raccontare menzogne, insomma, di darsi una regolata.