Moltiplicazione spiritosa Quando i birrifici si spostano verso il distillato

Il settore della birra si fa intraprendente e si lancia nell’avventura dell’alambicco. Il trend raccontato attraverso l’esperienza di Birrificio Italiano, che ha da poco lanciato una linea di spirits

Birra (foto di Timothy Dykes su Unsplash)
Birra (foto di Timothy Dykes su Unsplash)

Quando ci lamentiamo di questa epoca retriva, strangolata da ansie di ogni tipo e spersonalizzata a livelli da romanzo distopico, c’è un aspetto che sottovalutiamo e che potrebbe attenuare il generale pessimismo cosmico: stiamo vivendo l’età dell’oro degli alcolici. Il che – converrete – è un barlume di speranza nel tetro orizzonte di tutti i giorni.

Si scherza, ovviamente. Ma neanche poi tanto, perché davvero non si è mai vista una scena distillatoria così esuberante da quando gli arabi hanno inventato l’alambicco. In Scozia ne sono state censite 151 solo di whisky, l’Irlanda è passata da quattro a oltre sessanta negli ultimi quindici anni, in Francia sono quasi cento i produttori di distillato di malto. E poi il boom del gin che non accenna a rallentare, il rum che ha vissuto un picco anche in termini di prezzi. Insomma, se la dimensione spirituale non va d’accordo col materialismo di questo inizio millennio, quella spiritica va alla grande.

E l’Italia? Beh, non è immune dalla febbre generale. Secondo Nomisma, negli ultimi vent’anni l’export di superalcolici ha registrato un +300 per cento, raggiungendo il valore di 1,7 miliardi di euro. Se tradizionalmente siamo il Paese della grappa e dell’amaro, ormai non è più così e anche nella terra del vino fioriscono come papaveri micro-distillerie di qualsivoglia spirito.

In questo quadro, non è dunque una breaking news il lancio dell’ennesimo marchio indipendente. A meno che dietro non si nasconda qualcos’altro o qualcun altro. Nella fattispecie uno dei pionieri della birra artigianale italiana.

Birrificio italiano e gli spirits che partono dalla birra
Birrificio italiano e gli spirits che partono dalla birra (credits Birrificio Italiano)

Dalla birra al distillato
Agostino Arioli è un nome (e un volto, e una mano) storico sulla scena brassicola nostrana. Era il 1996 quando a Lurago Marinone, nel Comasco, apriva il Birrificio Italiano, primo brewpub del suo genere in Lombardia. Sono gli anni in cui inizia a fermentare – il termine non è scelto a caso – l’idea della birra artigianale, già esplosa in America, ovviamente su scala immensamente superiore. La filosofia è quella delle “birre buone da bere”, non della sperimentazione fine a sé stessa. Da quella filosofia nacquero “Tipopils” e “Rossoscura”, due pietre miliari liquide, e da quella filosofia (ricerca, innovazione e tirature limitate) nasce oggi la serie “Birrificio Italiano Spirits”.

«I distillati – spiega Arioli – mi frullavano in testa da parecchio. Era un progetto che avevo iniziato nel 2018, l’ho messo in stand-by ed ora finalmente vede la luce». La pausa di riflessione di cui parla è l’avventura intrapresa con alcuni amici a Seregno, con l’apertura di una distilleria di whisky in collaborazione coi fondatori di un altro birrificio, Railroad. Da quel progetto, Strada Ferrata (avevamo raccontato qui il loro primo whisky), Agostino è uscito l’anno scorso, «ma l’onda, la curiosità per il mondo degli spirits, non si è fermata».

Il risultato della sua ricerca è una linea di prodotti eclettica e del tutto peculiare, tutti diversi tra loro e nati appunto dalla voglia di cimentarsi in un settore in cui la fantasia ha ancora gran parte. Liquori e distillati pensati per affiancare l’offerta di birre del Birrificio Italiano e dunque distribuiti con le stesse modalità: «I pub stanno battendo strade alternative. Noi non abbiamo particolare entusiasmo per l’analcolico, per cui abbiamo optato per una miscelazione semplice e diretta», scherza Arioli spiegando la ragione dell’operazione.

Agostino Arioli, alla guida di Birrificio Italiano (credits Birrificio Italiano)
Agostino Arioli, alla guida di Birrificio Italiano (credits Birrificio Italiano)

Dal distillato di birra al cappero di Pantelleria
La prima creazione, da cui è partito tutto, si chiama “Albedo”. Come lo strato bianco della buccia degli agrumi, ma soprattutto «come la seconda fase dell’alchimia, un’arte che da sempre mi affascina perché unisce scienza e metafisica, proprio come la distillazione».
Albedo è un marchio che riunisce quattro imbottigliamenti di distillato di birra. Come dicevamo, non è la prima volta che Arioli si cimenta con la distillazione, nel 2018 fece produrre proprio un bierbrand, un distillato di birra, alla distilleria trentina di Maxentia. Ecco, quel distillato oggi assume quattro forme: una è il distillato bianco, ovvero non invecchiato; il resto è stato invecchiato in una botte di Moscato giallo altoatesino. Una parte di questa botte è stata imbottigliata direttamente, un’altra è stata affinata in botti che avevano contenuto rum della Martinica e un’altra è stata affinata in botti ex whisky scozzese torbato (Kilchoman, per essere precisi).

Come sono? Il distillato di birra è un gusto a cui il mercato italiano non è abituato, con una forza diretta e una schiettezza che lo fa competere più con la grappa che con il whisky. Una sorpresa a tutti gli effetti.

Il secondo prodotto della serie è invece meno sorprendente, ed è un gin, categoria London Dry. La categoria è tradizionale, ma l’interpretazione è moderna: distillato negli alambicchi di Eugin, “Drytto” – così si chiama – è un gin potente e senza troppi fronzoli, nomen omen: un London Dry secco, che valorizza il ginepro e le note agrumate del kaffir lime, con angelica, coriandolo e pepe nero a chiudere la ricetta.

Le ultime due creazioni di Birrificio Italiano Spirits sono due eredità dell’esperienza passata di Arioli, reinterpretate e modificate. C’è Capparis, un “aperitivo mediterraneo” e assai gastronomico, in cui protagonista è il cappero di Pantelleria. Arioli ha recuperato l’idea di un distillato di cereali prodotto in precedenza, riducendo il grado e arrotondando gli spigoli con altre botaniche, per un aperitivo unico e sapido, decisamente godurioso.
Infine c’è l’Amaro Marasso, «amaro veramente», come lo ha voluto e pensato Arioli. Che con i suoi ragazzi ha studiato a fondo il bilanciamento dei sedici ingredienti fra erbe, radici, bacche, fiori e spezie. L’idea era far produrre (alla distilleria Deta di Barberino Tavernelle, nel Fiorentino) un amaro come una volta, implacabile nelle note amaricanti, con poco zucchero. Una mossa controcorrente rispetto agli amari contemporanei, che però è piaciuta anche all’estero, tanto che nel 2023 Marasso ha portato a casa una medaglia di bronzo all’International Spirits Challenge di Londra.

Ritorniamo al via, cioè a quella moltiplicazione di marchi e prodotti. E alla fine della storia forse possiamo anche provare a rispondere alla domanda: ce n’è davvero bisogno? Dipende. Ovviamente dalla qualità. Finché le nuove idee e le nuove etichette spiccano per creatività, realizzazione tecnica e bevibilità… beh, non c’è limite al cielo. E neanche all’alambicco.

Compagnia dei Caraibi, Elephant Gin

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