Se fossimo in un film, probabilmente il primo fotogramma ritrarrebbe un calice di cristallo in cui viene versato un liquido di un bel color mogano brillante. La cinepresa segue il liquido, si tuffa nel bicchiere, e più si immerge, più sembra di sprofondare nel tempo, in un effetto-vortice che in un flashback porta a quattro anni prima, a un altro bicchiere – stavolta di birra – bevuto in un capannone vuoto alla periferia di Seregno. Che se non è un set da film di Ken Loach, poco ci manca.
E in effetti la storia del primo whisky brianzolo, che verrà lanciato ufficialmente domani 12 ottobre, si candida a venire sceneggiata. A partire dagli inizi, nel 2020, quando alcuni amici professionisti della birra artigianale si mettono in testa di produrre single malt non nelle Highlands scozzesi, ma nell’industriosa e industriale Brianza, per «cambiare l’approccio al whisky italiano».
Loro sono Agostino Arioli, monumento vivente della scena brassicola italiana e fondatore nel 1996 del Birrificio Italiano; Marco Giannasso, homebrewer, responsabile degustazioni di Unionbirrai e con alle spalle un’esperienza distillatoria in Svizzera; Benedetto Cannatelli, professore di economia aziendale e imprenditorialità alla Cattolica di Milano e co-fondatore, insieme a Stefano Zanetto – manager e anima “razionale” del progetto – del birrificio Railroad.
Proprio nello stesso cortile del birrificio apre i battenti, nel febbraio del 2021, la distilleria Strada Ferrata, che di Railroad è parente stretta anche nel nome, oltre che nell’approccio. Già, perché – come per altri in Italia, tra tutti i sardi di Exmu – le radici del whisky nostrano affondano spesso nel malto della birra. Stessa materia prima (fatta eccezione per il luppolo), stessa competenza per la fermentazione e il lievito: “basta” aggiungere un alambicco e il gioco è fatto. Come se fosse facile…
Il debutto di Strada Ferrata era stato inebriante. Un alambicco a bagnomaria con colonna di rettifica costruito in Trentino da Barison, e non il classico pot still scozzese; barili di invecchiamento insoliti, in legno di acacia e ciliegio, oppure che avevano contenuto mezcal, Pinot Nero o birra. Profumo di avventura, sperimentazione, valorizzazione delle differenze. Perché imitare pedissequamente i maestri dello Scotch, che rimangono inarrivabili sul loro terreno? Meglio cercare una propria dimensione.
Siccome il whisky, per chiamarsi tale, ha bisogno di almeno tre anni di invecchiamento in botti di legno, era necessario lanciare sul mercato qualche prodotto interlocutorio per tenere viva l’attenzione e fare un po’ di cassa. Molti scelgono di distillare gin o vodka. A Strada Ferrata si era deciso di commercializzare il new make, ovvero lo spirito non invecchiato. Una strada – ferrata – controcorrente, con sei diverse tipologie di distillato (tra cui un torbato e perfino uno aromatizzato ai capperi) destinate soprattutto alla mixology. Storia passata, ora è tempo di fare sul serio.
Nel frattempo, parecchio è cambiato nella “distilleria urbana” di via Montello. Nel 2023 il fondatore Agostino ha lasciato, portando con sé il concept del new make nella sua nuova avventura, il Birrificio Italiano Spirits. Poco dopo, a inizio 2024, nel capitale di Albedo srl – la società proprietaria di Strada Ferrata – è entrato con il venti per cento il colosso Illva Saronno. Non un partner di secondo piano, dato che la multinazionale negli ultimi anni ha puntato forte sul whisky, acquistando in Irlanda la Royal Oak Distillery (che produce l’Irish whiskey The Busker) e l’americana Sagamore.
La maggiore solidità economica ha consentito a Strada Ferrata di ampliare il team, di migliorare l’apparecchiatura e soprattutto di raddoppiare la produzione, con cinque botti riempite ogni settimana. «Oggi nei nostri magazzini – racconta Marco – ne riposano quasi duecento. Non abbiamo fretta, anche se qui l’angel share (la percentuale di liquido che evapora ogni anno, nda) è altina, intorno al cinque per cento. Vogliamo comunque fare le cose per bene e le lasciamo invecchiare con calma. Però, tra la decina di barili già pronti, uno ci ha talmente stregato che abbiamo deciso di imbottigliarlo…».
Nasce così, quindi, il primo “vero” whisky di Strada Ferrata, che arriva dopo “On the way”, la serie di tre imbottigliamenti invecchiati venti mesi rilasciati nel 2023. Si tratta di un single cask, per la precisione il terzo barile mai distillato, nel febbraio 2021. Una botte singola che ha dato 301 bottiglie, in vendita soltanto presso la distilleria a 79 euro. Il distillato di orzo torbato a 50 ppm (grosso modo lo stesso livello di Ardbeg, Laphroaig e Lagavulin) ha passato oltre tre anni e mezzo in una barrique che prima aveva contenuto vino rosso e poi una birra sour brettata, uno stile particolare fermentato con lieviti selvaggi e molto adatto alle maturazioni in legno.
A Marco, il responsabile della produzione che ci accompagna mentre assaggiamo in anteprima, brillano gli occhi come a un papà che vede il figlio fare i primi passi: «Abbiamo cambiato molto in distillazione in questi primi anni: temperature, tempi, è tutto un lavoro di prove, riprove, errori ed esperienza. Per esempio, la segale: per noi è difficilissimo distillarla perché il residuo diventa colloso, è impossibile da filtrare con la nostra attrezzatura. Oppure il legno di ciliegio: ci abbiamo provato, ma è davvero ostico».
Stefano sorride: «Lui è sperimentatore nell’anima, dobbiamo tenerlo a freno con la creatività». Però, contrariamente a quanto si pensi, il whisky italiano non è tutta questione di estro, ha più che altro alle spalle un lavoro grande e serio: «L’obiettivo è arrivare al 2028 con i primi imbottigliamenti continuativi, un core range su tre linee, per i tre tipi di malto che utilizziamo: il malto Monaco, quello torbato e quello affumicato con legno di faggio».
Fino al 2028, ci saranno comunque nuove special release, o imbottigliamenti singoli, «così gli appassionati non si dimenticheranno di noi», scherzano i due. Intanto, gli stessi appassionati possono godersi questo piccolo gioiellino, che fin dal naso sembra più maturo e profondo dei soli tre anni e mezzo di invecchiamento. Il naso è vivo e balsamico, con note di ciliegia che si intessono a una bell’aria affumicata autunnale, mentre in bocca è sorprendentemente masticabile e pastoso, con note di caldarroste e cioccolato e un guizzo acidino di arancia rossa, che vira sull’asciutto nel finale.
Riassumendo: un mezzo miracolo di cura del particolare, distillazione fatta a regola d’arte e utilizzo intelligente dei legni. Tutte cose che in un whisky buono sono ingredienti più importanti del paesaggio circostante. La partita fra capannoni e Highlands è appena cominciata, ma è già uno spettacolo.