«È un po’ artificiale andare a prendere giocatori dall’estero e poi chiamarla squadra della Francia». Con queste parole, nel giugno del 1996, Jean-Marie Le Pen incendiava la vigilia degli Europei in Inghilterra, scatenando una polemica che, da lì in avanti, sarebbe rimasta estremamente presente nel calcio transalpino e anche internazionale. Le Pen aveva all’epoca sessantotto anni ed era il leader del Front National, un partito di estrema destra in forte ascesa. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, al calcio Le Pen doveva tantissimo, pur senza esserne mai stato granché appassionato.
Fin dalle sue lontane origini, il football in Francia è stato un magnifico specchio della società e un terreno d’incontro tra popoli diversi. La Nazionale aveva raccolto al suo interno giocatori italiani, polacchi, iberici e magrebini già prima della Seconda Guerra Mondiale. Ma fino all’Europeo del 1984 non aveva mai conquistato un solo trofeo, e non era sfuggito a nessuno che proprio in quel periodo la selezione aveva iniziato a schierare con sempre maggiore frequenza giocatori neri, come Marius Trésor prima e Jean Tigana poi. Si andava costruendo quella squadra blanc black beur che avrebbe poi dominato il calcio internazionale, vincendo il titolo mondiale nel 1998 e quello europeo nel 2000, per poi tornare in finale ai Mondiali sei anni più tardi.
Il leader del FN aveva intuito che quella squadra rendeva estremamente visibile un’idea di Francia nuova e multietnica a cui si era sempre opposto. Il vantaggio, questa volta, era che il bersaglio della sua propaganda xenofoba non era più astratto, ma concretizzato in un gruppo di giocatori che tutti conoscevano e stavano per vedere quasi quotidianamente in tv durante il torneo. Li descrisse come «stranieri naturalizzati al solo scopo di essere convocati nella Nazionale», sebbene tutti quei calciatori fossero francesi, spesso pure nati nella Francia continentale. Li accusò di non cantare La Marsigliese perché, in quanto stranieri, non la conoscevano, ma a quel tempo era raro che dei calciatori, di qualsiasi nazionalità, cantassero l’inno nazionale prima delle partite.
Le sue sparate demagogiche contro la Francia del pallone proseguirono anche negli anni successivi, in particolare nella primavera del 2002, quando Le Pen arrivò per la prima volta al ballottaggio delle presidenziali. In quel caso, però, il calcio rispose in maniera decisa: noti giocatori come Zinédine Zidane, Lilian Thuram e Marcel Desailly condannarono la propaganda razzista del FN; Robert Pirès, nel ricevere il premio come calciatore dell’anno del campionato inglese, aggiunse che lui e molti suoi compagni si sarebbero rifiutati di giocare in Nazionale ai Mondiali di quell’estate, se Le Pen avesse vinto. «Giochiamo per la Francia perché siamo francesi, ma le radici di questa squadra provengono da ogni parte del mondo. Se la Francia dovesse essere governata dall’estrema destra sarebbe impossibile per noi rappresentare questo paese», disse Pirès.
Sconfitto, Le Pen tornò alla carica quattro anni dopo, di nuovo alla vigilia di un Mondiale, ma anche ormai all’inizio del suo declino politico: «La Francia non si riconosce in questa squadra. Può essere che l’allenatore abbia esagerato la proporzione dei giocatori di colore. Potrebbe essersi fatto guidare da scelte ideologiche». Ancora una volta, toccò a uno dei veterani della Nazionale reagire: «Le Pen non sa che esistono francesi neri, bianchi e marroni. Ha l’aspirazione a essere presidente della Francia, ma chiaramente non sa nulla della storia e della società francesi», replicò Thuram.
Non sembra una coincidenza che l’ascesa del FN di Le Pen – prima della recente istituzionalizzazione della figlia Marine – sia andata di pari passo proprio con la progressiva crescita del multiculturalismo nella selezione nazionale dello sport più amato del paese. Da quel momento in avanti, l’estrema destra francese ha eletto il calcio a proprio bersaglio ideale. Non solo perché tutti sanno di cosa si parla, quando si parla di calcio, ma perché è uno sport che muove critiche e antipatie che è relativamente facile indirizzare politicamente. E così Karim Benzema, campione francese più decisivo con i club che con la Nazionale, è stato più volte attaccato da Marine Le Pen o da Éric Zemmour per le sue origini algerine, accusato di non sentire davvero il fatto di essere francese.
La demagogia calciofila di Jean-Marie Le Pen ha fatto proseliti, diventando un tratto distintivo della propaganda dell’estrema destra europea, e non più solo francese. Da Alexander Gauland di AfD, che nel 2016 diceva che nessun tedesco vorrebbe il calciatore della Nazionale Jérôme Boateng come vicino, a Matteo Salvini della Lega, che nel 2019 legittimava gli insulti razzisti contro Mario Balotelli, fino alle polemiche della scorsa estate su Vox e le stelle della Spagna Lamine Yamal e Nico Williams. Ma, almeno in Francia, la sua esperienza ha spinto i più noti calciatori del paese ad assumersi le proprie responsabilità nel dibattito politico, condannando fermamente l’estrema destra sia alle presidenziali del 2017 che alle legislative dell’anno scorso, tenutesi in concomitanza con gli Europei in Germania.