La storia si è messa a correre verso una nuova destra a guida trumpiana. Tutte le sfumature della destra europea più radicale si sono messe in fila alla cerimonia di incoronazione dell’imperatore americano, gomito a gomito con i convertiti tech miliardari della Silicon Valley. A proposito della presunta lotta del popolo contro l’élite. Un inganno politico e culturale.
A Washington non ci sono i massimi rappresentanti delle istituzioni europee Ursula von der Leyen, Antonio Costa e Roberta Metsola (non invitati). Non ci sono i Popolari europei di Manfred Weber, il premier polacco Donald Tusk, il prossimo Cancelliere tedesco Friedrich Merz, che tra poche settimane nelle urne dovrà alzare un muro nei confronti dei neonazisti di Alternative für Deutschland, in primissima fila al giuramento del Campidoglio. Non c’è neanche il primo ministro britannico e laburista Keir Starmer, odiato da Elon Musk.
Al gran ballo di Washington c’è Giorgia Meloni, la pupilla del leader americano, la privilegiata interfaccia tra le due sponde atlantiche, che il nuovo presidente degli Stati Uniti vorrà utilizzare per dividere i Paesi dell’Unione Europea. Con l’idea di giocare con la geometria variabile dei dazi da imporre a coloro che non si adeguano, ammesso che sia possibile farlo. Ma questo è solo uno dei tanti campi minati su cui l’unità di questo pezzo economico dell’Occidente può saltare in aria.
L’Europa deve fare i conti con questa «oligarchia di estrema ricchezza, potere e influenza che minaccia letteralmente la nostra intera democrazia, i nostri diritti e le libertà fondamentali». Sono le ultime parole di Joe Biden (lo rimpiangeremo).
L’ultimo baluardo (non ci sono altri termini più adeguati) per la sopravvivenza di questo angolo del mondo libero e liberale, che ancora ha un pallido ricordo dello Stato sociale e di cosa sia stata l’Europa reazionaria nel Novecento, è il Partito popolare europeo. E segnatamente, sembra un paradosso affermarlo, la Cdu tedesca, che con Merz ha raggiunto i suoi confini a destra sull’immigrazione e la transizione ecologica. Ma in Germania, in crisi industriale e vicina alla guerra in Ucraina, è su quel confine che si combatte.
La stessa Angela Merkel, che tanti anni fa ha sempre sconfitto il suo concorrente interno alla Cdu, l’altro giorno si è augurata una vittoria dell’antico avversario. Nel 2002 lo aveva fatto fuori da capogruppo della Cdu e negli ultimi anni Merkel aveva disertato tutti i congressi del suo partito sempre più a destra. Alla celebrazione del suo settantesimo compleanno, a settembre, un primo disgelo.
Pochi giorni fa a Düsseldorf la ex Cancelliera, che ha capito che aria tira a livello internazionale, si è schierata a favore di Merz. In gioco, ha detto all’incontro dei conservatori tedeschi del Nordreno-Westfalia, ci sono «il nostro futuro, i posti di lavoro e la garanzia del benessere». E sull’Ucraina ha precisato che «la partnership transatlantica è oggi più irrinunciabile di quanto lo fosse alcuni anni fa: senza il sostegno degli Stati Uniti e della Nato, l’Ucraina non può restare uno stato sovrano».
L’altro contrafforte allo strapotere del capitalismo finanziario e tecnologico della brigata Musk, insediata alla Casa Bianca con tutti i suoi conflitti di enormi interessi, è Bruxelles, intesa non tanto come Commissione ma come maggioranza Ursula, in cui convivono Popolari e Socialisti. Maggioranza che si sarà pure allargata a destra, aprendo i portoni ai Conservatori della Meloni, ma sembra avere capito che i cavalli di Troia stanno entrando. Anzi, sono già entrati. Bisogna non dormire la notte e vigilare che con il favore delle tenebre i distruttori dell’Europa non escano fuori dalla pancia.
Ai leader europei che non sono in fila dietro la porta di Trump non resta che darsi una svegliata. E guardare al Ppe e al Cdu tedesco come il centro attorno a cui costruire sovranismo europeo, indipendenza energetica, impulso alla produzione industriale.
Ai colleghi di tutta l’Unione europea, invitati alla prestigiosa Konrad Adenauer, Merz ha ricordato che «fino a quando i paesi europei saranno uniti saranno rispettati nel mondo, anche negli Stati Uniti. E fino a quando saremo divisi, nessuno ci prenderà sul serio», ha suonato la campana il leader tedesco. Per il quale siamo all’«ultimo appello all’azione perché Trump pensa quello che dice, e fa quello che dice». Dunque l’Europa deve raccogliersi attorno ai suoi interessi: gli Stati Uniti sbaglierebbero se non cercassero alleati.
In tutto questo in Italia la politica d’opposizione è lenta. Meloni corre a Washington e attorno al Partito democratico si sentono giri di parole vecchie. Il 18 febbraio scorso si sono riuniti due convegni di cattolici democratici e dintorni. Sono stati scomodati i Liberi e Forti di Luigi Sturzo. Quell’appello del 1919 agli uomini «che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà».
Parole e valori con un’intrinseca validità che va però storicizzata e letta con gli occhi di oggi, di fronte a uno scenario del tutto inedito. Un esempio per tutti: Trump e il presidente cinese Xi Jinping si sono sentiti al telefono per discutere di TikTok.