L’idea che il rifiuto possa essere una risorsa, a Napoli non ha mai funzionato: i rifiuti, quelli indifferenziati, sono stati finora la sua condanna. Perché è in mezzo all’indifferenziato lecito che trovano asilo i rifiuti illeciti e quelli tossici. E’ nel colore bruno del percolato da rifiuti urbani che affonda silenzioso quello da rifiuti industriali.
Da un dato allora bisogna partire: la differenziata oggi è solo al 18%.
Ma la raccolta porta a porta introdotta in via sperimentale nel 2008, nei 7 quartieri pilota, ha dato in due anni ottimi risultati: una media del 65% di differenziata.
L’esperimento ha riguardato non poche persone: circa 130mila, il 13% della popolazione napoletana, l’equivalente di una città come Ferrara.
In quartieri della zona orientale come Ponticelli e San Giovanni, in quelli della Napoli nord come Chiaiano e Rione Alto, oppure ai Colli Aminei e al Centro Direzionale, la differenziata ha superato il 60%, con un picco del 91% nella zona occidentale, a Bagnoli, grazie ai 20mila abitanti che popolano il quartiere dell’ex Italsider,.
È un dato importante, un dato di fatto. Spazza via quell’imbarazzante dubbio, indotto, che si avvertiva sottotraccia ogni volta che si parlava di rifiuti a Napoli: ovvero che i napoletani fossero in qualche modo allergici alla raccolta differenziata.
Al contrario. Quando si fa il porta a porta la differenziata a Napoli raggiunge percentuali degne di nota. E ne va tenuto conto.
Una ricerca presentata lo scorso febbraio dal WWF con l’Università Federico II e con l’Asia, azienda che ha in carico la raccolta a Napoli, ha dimostrato che estendendo il porta a porta a tutta la città, Napoli può arrivare al 66% della differenziata riducendo le spese dell’80%.
Secondo lo studio, questo 66% sarebbe per metà materiale organico e per l’altra metà composto da carta, multi-materiale e vetro. Conferendo le 200mila tonnellate di organico previsto (15 volte in più rispetto ad oggi) a impianti di compostaggio all’interno della regione (piuttosto che all’esterno) il Comune spenderebbe solo 8 milioni di euro in più all’anno rispetto ai 2 milioni spesi oggi. La vendita di carta, vetro e soprattutto multi-materiale potrebbe garantire ogni anno introiti pari a 20 milioni di euro, mentre la drastica riduzione dell’indifferenziato dall’82% al 34% garantirebbe risparmi per altri 30 milioni di euro all’anno.
A conti fatti, secondo lo studio, rispetto ai 50 milioni di euro spesi ogni anno per l’attuale raccolta, la spesa netta per le 570mila tonnellate annuali di rifiuti scenderebbe a 10 milioni di euro. I quaranta milioni risparmiati consentirebbero di potenziare il porta a porta.
Senza costruire alcun inceneritore a Napoli.
Dei due contendenti alla carica di sindaco, De Magistris ha abbracciato in toto questa strategia. Lettieri considera irrinunciabile la costruzione di un nuovo inceneritore a Napoli Est, nonostante tessa le lodi del porta a porta. L’impianto costerebbe tra i 250 e i 280 milioni di euro e, va detto, non sarebbe assolutamente gradito dai residenti.
La soluzione dei grandi impianti è stata finora seguita con troppa ostinazione e non ha portato nessun risultato: Napoli e la Campania sono in balia della sua spazzatura da oltre dieci anni e ad oggi è attivo, e con vari problemi, solo il termovalorizzatore di Acerra.
Il ciclo virtuoso della raccolta differenziata e del riciclo non è mai stato perseguito con convinzione da nessuna amministrazione e alla città va data la possibilità di liberarsi dal circolo vizioso delle nuove discariche e dei termovalorizzatori, dei CDR e delle ecoballe. Dal rischio di un nuovo inceneritore a Napoli Est.
Chiunque sarà il nuovo sindaco da lunedì è proprio questa chance che deve dare ai suoi cittadini.