Con la decisione della Consulta, nessun ostacolo può essere più posto tra cittadini e referendum. Il Governo italiano e, alle sue spalle, quello francese devono rassegnarsi.
Ma una cosa è certa: Sarkozy guarderà con molta attenzione al voto del 12 e 13 giugno.
L’avanzata francese in Italia è iniziata già da parecchio. Ne sono solo alcuni esempi il pressing di EDF su Edison, nonché l’Opa di Lactalis su Parmalat. Il governo italiano ha fatto poco o nulla per resistere a queste offensive. Ha fatto più o meno quello che può fare un Paese con un terzo del debito pubblico sottoscritto dal vicino di casa.
I referendum, all’inizio sottovalutati, dopo Fukushima sono entrati con prepotenza in questa partita tra Francia e Italia. Nucleare e acqua sono carte che il Governo italiano ha già messo sul tavolo e che adesso vorrebbe poter giocare.
Prima di tutto il nucleare. Gli interessi francesi sul nucleare italiano sono enormi. Per EDF e Areva, società per l’85% e il 92% del Governo francese, una commessa da 25 miliardi di euro per quattro EPR è un’occasione che non può essere perduta. Soprattutto considerando che l’EPR, il reattore da 1600 MW sul quale l’industria nucleare francese progettava di fondare la proclamata ‘Nuclear Renaissance’, non ha convinto nessuno. E chi si è lasciato convincere, vedi i finlandesi a Olkiluoto, ne sta già pagando le conseguenze in termini di ritardi e costi fuori controllo.
È evidente, quindi, che il Governo francese non intende mollare la presa sul nucleare italiano. Ma il successo del referendum chiuderebbe tutte le porte, non c’è dubbio.
Poi c’è l’acqua. Anche qui gli interessi francesi non mancano. Il decreto Ronchi sembrava aver messo le cose in ordine per l’avanzata dei francesi e il referendum non era considerato un serio pericolo. Ma dopo Fukushima le cose sono cambiate e, secondo molti, l’acqua sarebbe diventata la merce di scambio tra Italia e Francia al posto del nucleare. Non potendo più garantire l’acquisto delle centrali, Berlusconi, a margine dello scorso vertice di Parigi, avrebbe almeno garantito la privatizzazione della gestione dell’acqua a uno Sarkozy pronto a battere cassa. Bastava far saltare i referendum con la moratoria sul nucleare.
Acqua in cambio di nucleare, quindi. O, magari, acqua subito e nucleare tra un paio d’anni. A supporto di questa tesi ci sarebbero, ad esempio, il fatto che il colosso francese GDF Suez, all’indomani della moratoria sul nucleare, puntando sul fallimento del referendum, abbia incrementato la partecipazione nella romana Acea, che gestisce il servizio idrico di Roma e provincia, raggiungendo quasi il 12%. Un altro indizio è il fatto che l’amministratore delegato di EDF, Henri Proglio, siede contemporaneamente nel consiglio di amministrazione di Veolia, la multinazionale francese che, attraverso la partecipazione in Acqualatina, gestisce il servizio idrico nella provincia di Latina e alla quale non dispiacerebbe espandersi nel mercato italiano.
‘Se non sarà nucleare, almeno sarà acqua!’ avrà bisbigliato Berlusconi nell’orecchio di Sarkozy.
Ma la Cassazione, riammettendo il quesito sul nucleare, ha fatto saltare il banco, e con la decisione di oggi della Consulta, il tentativo di indebolire i referendum è definitivamente fallito.
Così la decisione adesso spetta finalmente ai cittadini, che potranno votare su tutti i quesiti. E lo faranno avendo in mente la reale sostanza del voto: chiudere o non chiudere con il nucleare, conservare o non conservare la gestione dell’acqua pubblica.
Gli accordi sottobanco di Parigi, sul voto dei cittadini, conteranno veramente poco.