Ho un sacco di cose di H&M: magliette, pantaloni della tuta, felpe col cappuccio, una gonna a pois. Un bel collage di cose che raramente superano i 29,90 euro e che rappresentano un altrettanto interessante puzzle di nazionalità diverse ben impresse sull’etichetta:
l’intramontabile Cina, che oggi sa fare molto meglio;
ma anche, decisamente meno ad Oriente, Bulgaria e Turchia
Bene, perfetto: il made in Italy oggi come oggi non è sempre essenziale. Soprattutto per andare in palestra. Quindi nell’acquisto dei suddetti capi ammetto di non essermi fatta nemmeno mezzo scrupolo, nonostante sia una di quelle che credono nel valore del prodotto nostrano.
Ma chi c’è effettivamente dietro la mia maglietta a righe?
La domanda sorge spontanea, soprattutto quando si legge – prendo dal quotidiano La Stampa – che la scorsa settimana in Cambogia sono avvenuti “due svenimenti di massa in uno stabilimento con 300 operai e operaie accasciatisi durante il turno di lavoro; altri 40 lavoratori che hanno perso i sensi in un’altra fabbrica della stessa azienda, che produce vestiti per il colosso dell’abbigliamento H&M”.
Le vittime degli svenimenti sono operai alla M&V International Manufacturing azienda che produce per il colosso svedese e anche per tanti altri brand occidentali. A cosa può essere dovuto lo svenimento di massa? La risposta più curiosa e assurda arriva da un manager della compagnia che attribuisce la cosa a “uno strano fenomeno psicologico”.
I sindacati la pensano diversamente: sfruttamento (lo stipendio base è 61 dollari americani al mese, con 48 ore lavorative la settimana e molti accettano di fare straordinari lavorando fino a 6 ore in più al giorno). Accanto, la mal nutrizione e la cattiva aerazione degli ambienti di lavoro. touchè.
Pare che H&M stia ora indagando sull’accaduto insieme all’Organizzazione Internazionale del lavoro.
La domanda, a questo punto è: ma un colosso come H&M che nel 2010 ha fatturato 108,4 miliardi di corone svedesi ( circa 12 miliardi di euro) non dovrebbe avere interesse, anche economico, a far sì che le condizioni di lavoro siano se non ottimali almeno decenti anche nelle aziende a cui scelgono di affidare parte della realizzazione dei propri capi?
Il settore tessile in Cambogia rappresenta una fetta consistente del Pil e dà lavoro a circa 300 mila persone. Se le condizioni sono queste per tutti, vi lascio immaginare.