Design Kit - Inspiration and referencesAnche nel design il problema è l’inadeguatezza della classe dirigente

Un mese fa è apparso su l’Economist un articolo sull’Innovazione per raccontare il lavoro di ricerca di Clayton Christensen culminato in un nuovo libro scritto insieme a Jeffrey Dyer e Hal Gregerse...

Un mese fa è apparso su l’Economist un articolo sull’Innovazione per raccontare il lavoro di ricerca di Clayton Christensen culminato in un nuovo libro scritto insieme a Jeffrey Dyer e Hal Gregersen dal titolo “The Innovator’s DNA”. Questo nuovo lavoro dei tre ricercatori mette in evidenza le storie e gli insight delle menti che hanno creato prodotti e servizi innovativi per capire l’approccio al loro lavoro in termini di business.

Christensen e i suoi colleghi hanno individuato cinque action per definire le persone che innovano, ecco quali. Sono persone molto abili ad associare situazioni apparentemente non collegate, si pongono di continuo buone domande, sono degli avidi osservatori, sono iper-connessi e ovviamente sperimentano tanto.

Racchiuse nel libro e nell’articolo ci sono storie fantastiche di uomini illuminati e delle loro start-up che hanno rivoluzionato il mondo, attraverso le loro discipline di appartenenza o di uno specifico settore. Sono nomi importanti, come importanti sono le loro aziende e il loro operato.

L’articolo parla di grandi personaggi e di aziende di culto che si trovano in aree geografiche dove l’innovazione è parte del sistema. Anche qui in Italia molti designer hanno questa attitudine ma la mentalità aziendale e le scelte politiche spesso non facilitano l’apertura verso il nuovo.

http://www.economist.com/node/21525350
http://blogs.hbr.org/cs/2011/09/begin_to_think_differently.html
http://hbr.org/2009/12/the-innovators-dna/ar/1
http://www.amazon.com/Jeffrey-H.-Dyer/e/B001IXRQGO

 https://www.youtube.com/embed/Xy6Ex1C_SAs/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

Prendiamo spunto da questo articolo per parlare di Cultura del Progetto e della conseguente indole/bisogno/necessità che questo valore primario possiede quando viene in contatto con tutto ciò che è in trasformazione.
A molti apparirà una prassi facile e comune, ma chi pratica la Cultura del Progetto si fa carico di una qualità indiscussa da ottenere ad ogni costo; queste persone, in Italia, sono sempre più rare e difficili da trovare in posizioni strategiche e di rilievo! Molto spesso la paura nell’innovare e soprattutto la legge dei numeri e dei facili guadagni banalizza e schiaccia verso il basso il valore culturale in favore di prodotti/servizi mediocri. È sempre stata la via più semplice e ancor oggi è largamente in uso.
Fortunatamente, aziende come Alessi, Kartell e Luceplan e molte altre – solo per citarne alcune legate al Design, ma abbiamo delle eccellenze nei settori della Tecnologia Avvanzata, delle Macchine Utensili, della Moda e del Food – hanno fatto della Cultura del Progetto il loro cavallo di battaglia. Infatti, grazie ad una grande consapevolezza nei processi progettuali, industriali e di vendita hanno saputo posizionare molto bene il loro marchio nella categoria di riferimento, facendo della cultura un valore aggiunto, aggiudicandosi in tal modo l’icona di aziende-culto.

Oggi viviamo un periodo di grande incertezza e di spostamento economico, le regole del mercato non aderiscono più ai vecchi parametri. È un momento storico dove molte aziende Italiane si trovano in grande difficoltà e noi siamo fermamente convinti che il valore indiscusso della Cultura del Progetto potrebbe essere la chiave attraverso la quale riemergere.

Per un’azienda, parlare oggi di Cultura del Progetto, significa avere il coraggio di fermarsi a riflettere, vuol dire analizzare bene i valori che si vogliono rappresentare attraverso quello che si fa, aprire un dialogo per ridiscutere le scelte di produzione e sviluppare idee che siano in sintonia con una società contemporanea in continuo/rapido cambiamento. Bisogna ripensare all’intero sistema produttivo e ai nostri distretti con grande coraggio e spirito di sacrificio e produrre meno, produrre meglio, con un significato più consono alla realtà che ci circonda. Non possiamo più vivere di rendita rispetto al periodo d’oro del passato, non si può pensare che le cose possano continuare in questo modo.
In un mondo così fluido e frammentato la breve vita di un prodotto è complessa. Per emergere e rimanere a galla deve essere sostenuto da una strategia solida, che prenda in considerazione i molteplici aspetti legati alla produzione sostenibile, ai materiali, al contesto, al posizionamento, alla differenziazione dei mercati, all’enorme varietà culturale degli utilizzatori finali, ai bisogni reali delle persone, ai tantissimi canali di vendita e di comunicazione. Quindi bisogna saper progettare, bisogna saper ascoltare, osservando e associando tutti quei valori che ci permettano di sviluppare idee in sintonia con le esigenze del quotidiano. In poche parole bisogna tornare a progettare partendo dalla ricerca.

Per molti l’innovazione è soltanto la creazione di qualcosa di nuovo, ma nel mondo del Design l’innovazione è anche fatta di piccoli spostamenti, di affinamenti, di prove e riprove, di errori su errori, di tentativi, di modalità diverse nelle relazioni, di giuste osservazioni che portano a risultati importanti ed a soluzioni efficaci. Il Design dovrebbe farsi carico di migliorare il modo in cui l’uomo si relaziona con le cose e con l’ambiente, di rendere il mondo che ci circonda più equo e anche più bello. Non è un’utopia, ma è piuttosto una componente che appartiene da sempre alla disciplina del Design, dalla Bauhaus passando dalla scuola di Ulm per arrivare alle più contemporanee Design Thinking e/o Design Service.

Parlare di cambiamento del paradigma, di pensiero non convenzionale (out of the box), di decontestualizzazione dovrebbe essere quantomeno normale per un Designer. Proporsi con particolare attenzione, considerando sempre questi aspetti come parte integrante della propria ricetta segreta sarebbe indubbiamente utile. Questi termini oggi giorno sono un po’ abusati, vengono giocati come leve importanti per accattivarsi il potenziale cliente e sono menzionati all’interno di preventivi irresistibili, di slogan, di claim, eccetera, ma in realtà dovrebbero veramente fare parte degli obiettivi standard, da portate a termine fino alla chiusura del progetto. Questo vale sia per il cliente che per il progettista, sia per l’azienda che per i propri dipendenti, sia per il pubblico che per il privato. Se si vuole cambiare, questa è la strada!

Ad ogni modo, la miscela esplosiva atta al raggiungimento di risultati rilevanti, fatta di contenuti sensati e attitudine alla Cultura del Progetto, può detonare soltanto se ci sono i presupposti giusti da parte della committenza che vuole veramente dialogare insieme al Designer e che, questo ultimo, sia predisposto e attento ai valori di progetto sin qui elencati.

Tra i tanti approcci associati alla Cultura del Progetto, possiamo ricordare situazioni vissute in prima persona, dove, trovandoci davanti ad esperti di settore bloccati dalle loro stesse scelte, abbiamo spiegato che per progettare o risolvere quel dato problema esiste una modalità differente da quella da loro attuata. Chi possiede un certo know-how e non lo rigenera, anche se molto bravo nel suo campo, col tempo sedimenta processi ripetitivi facendoli diventare solo routine; queste figure, davanti a una nuova proposta o a potenziali cambiamenti, dà la facile risposta del “non si può fare”. Paradossalmente, quando ci troviamo davanti alla frase “non si può fare”, capiamo che ci sono realmente le condizioni per innovare e allora sollecitiamo un approfondimento.
Trasformare o innovare richiede un cambiamento dal punto di vista delle dinamiche del lavoro. Per realizzare un cambiamento è necessaria una precisa visione d’insieme e tanta conoscenza, capacità, abilità, abitudine nello spiegare come esso si può realizzare. È qui che il Design/designer può fare da collante e da vero connettore, dialogando con tutte le parti, amalgamando i punti di vista, assumendosi la responsabilità di tradurre questa complessità in una visione unica e condivisa.

Osservare, ascoltare, toccare con mano, raccogliere dati, studiare, analizzare, connettere gli insight, capire i problemi, scovare le opportunità e i bisogni reali, mappare e associare le informazioni, fare storytelling, trovare gli anelli mancanti, tradurre la ricerca in soluzioni, lavorare in team multidisciplinari e sperimentare insieme, moderare e trasformare, può sicuramente aiutare un’Intuizione a trasformarsi in reale soluzione. L’intuizione è un valore prezioso dettato dall’Intelletto; se trova il giusto territorio su cui insistere, alimentata e sostenuta dai vari apporti, contribuisce alla costruzione di un valore culturale inestimabile definita come Cultura del Progetto.

Anche l’impollinazione incrociata (cross polination) può diventare uno strumento operativo fondamentale per innovare. Mettere in relazionare aree professionali e disciplinari differenti, capire e connettere contesti apparentemente slegati tra loro, leggere tra le righe lo scorrere della quotidianità, prendere in prestito consapevolmente modalità di lavoro appartenenti a culture/contesti deversi, aiuta a selezionare quei valori chiave che posso realmente creare innovazione.

La Cultura del Progetto deve essere alimentata, deve emergere. Rappresenta una vera e propria fonte di energia che può ispirare e facilitare qualsiasi processo che guarda all’innovazione, trasformando qualcosa di ordinario in qualcosa di straordinario.

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