Lui sapeva benissimo cosa fosse la Cultura del Progetto
A pochi giorni dalla sua scomparsa, ovviamente, si susseguono innumerevoli articoli sulla mitica figura di Steve Jobs. Ora lo ricordiamo come tra i più illuminati innovatori della contemporaneità. Significativi i primi geniali passi nel garage dei genitori adottivi con l’amico Wozniak a vent’anni, il primo personal computer, l’uscita assurda dalla sua stessa azienda, la creazione di Next e di Pixar, il ritorno in Apple ed infine tutti i nuovi prodotti che nell’ultimo decennio la sua azienda ci ha suggerito e che hanno rivoluzionato gli stili di vita e le modalità di uso/consumo dell’elettronica. Poetica, Design, affettività, piacere e facilità d’uso, estetica, eleganza, glam and style …
In questo caso noi invece vorremmo soffermarci su uno dei tanti aspetti che ha caratterizzato l’approccio al progetto di Steve Jobs.
Si chiama Cultura del Progetto e incorpora il Design Process come capacità di vedere e sviluppare il progetto nella sua globalità, di perseguire il risultato attraverso l’integrazione di tutte le componenti interne ed esterne al prodotto stesso, rappresentando/rafforzando l’identità dell’azienda. Oggi risulta quasi scontato affermare che Apple rappresenta – come fu Braun di Dieter Rams nel dopoguerra – l’azienda modello che ha saputo offrire prodotti nuovi quasi perfetti, facili da usare e belli. Ma questo è ora inequivocabilmente sotto gli occhi di tutti grazie a persone determinate, che hanno portato avanti un ideale attraverso un processo che ha messo al centro del proprio business oggetti utili alle persone, curando meticolosamente tutti i particolari e le complessità di gestione di una grande azienda. Avere un prodotto che è perfettamente in sintonia con il servizio erogato, unitamente alle modalità strategiche di vendita, è un progetto che ha bisogno di una Visione precisa, di una Missione univoca e condivisa, di una perfetta conoscenza dei propri target e quindi di un allineamento di tutte le persone (dipartimenti) che lavorano all’interno dell’azienda.
Possiamo dire che l’oggetto computer/iphone/ipod/ipad (hardware), i suoi contenuti (software) e il servizio (vendita attraverso piattaforma web e diretta con i negozi), esprimono insieme un linguaggio univoco in termini di Brand che si traduce in riconoscibilità per le persone comuni. Questa massa critica ben congegnata, va ad impattare sulle pratiche di tutti i giorni legate alle attività quotidiane delle persone, sugli stili di vita, diventando pratica piacevole e di culto.
Citiamo volontariamente due casi personali. Alessandro: “quando nel 1995 arrivato in Inghilterra dovetti convertirmi per forza da PC al Mac, perché la facoltà aveva in dotazione soltanto computer Apple, fu per me una rivelazione. Allora il Mac era un prodotto solo per addetti ai lavori, non c’erano integrazioni tipo email, rubrica, calendario, browser… ma si lavorava in modo spontaneo/intuitivo su programmi professionali legati al Design come Photoshop, Freehand, VectorWorks, Vellum, Quark-express, ecc. La cosa che mi colpì di più fu la facilità nel gestire le operazioni in successione, un’interfaccia veloce ed intuitiva, una modalità cross-platform incredibile. Potevo lavorare su più programmi condividendo direttamente alcune parti. Eseguivo un disegno tecnico, lo passavo su un altro programma facilmente, lo coloravo, lo passavo su un altro e gli applicavo una grafica, tutto grazie alla totale compatibilità tra i programmi. All’epoca tutto ciò era fantascienza per uno che arrivava da PC.
La conversione al sistema Mac fu immediata oltre che obbligata, ma mi innamorai subito delle prestazioni del computer e di quanto fosse user friendly. Insistere nel decodificare il sistema MS-Dos per effettuare azioni elementari non faceva più per me, volevo una macchina che mi facesse fare il lavoro che dovevo fare in modo preciso, veloce e senza troppi stress. Per la mia conversione totale ci vollero poche settimane, avevo soltanto usato intuitivamente i programmi e imparato facendo, questo anche perché tutti i programmi usavano le stesse modalità di uso. Ad esempio nei menù in alto a tendina le diciture erano spesso le stesse, lavorare con la tastiera e con gli shortcut era veloce e richiedeva sempre la stessa modalità (mela c, mela v per copiare e incollare, mela z per undo, mela n per nuovo…) in vent’anni questa modalità è rimasta invariata!”.
Luca: “nel 1996 dopo la laurea mi spostai in DA dove ancora i progetti si raccontavano con i caroselli delle diapositive, ma due Apple si distinguevano nitidamente nella massa degli oggetti presenti a scuola. Il corso sulle interfacce mi obbligava a prendere confidenza con questi nuovi strumenti, sicuramente più affascinanti dei miei PC486 double space e dei modelli 3D realizzati con Autocad 5 da animare e renderizzare con TopasVGA. Mi si aprì davanti agli occhi una piattaforma creativa con la quale realizzare anche le grafiche in digitale, invece delle tecniche manuali tradizionali. In quel periodo l’html arrivava in edicola con piccoli manuali d’uso pratico e ricordo che realizzai in pochi giorni, per l’Academy, il mio primo sito all’interno di un progetto chiamato “Apple Design Project”. Idonei strumenti, facilità d’uso intuitivo, efficienza e qualità nei risultati, hanno permesso di realizzare tutto. Sono da anni uno user di prodotti Apple anche se tutt’ora uso la doppia piattaforma Mac e PC utilizzando software totalmente compatibili, però: i prodotti, il sistema operativo e l’interfaccia Apple sono un altro mondo. Difficile oggi non essere dei follower.”
Riprendendo il racconto. Nello stesso periodo un ragazzo inglese che aveva frequentato Industrial Design fu chiamato a lavorare a Cupertino. Jonathan Ive iniziò a riprogettare tutto il sistema hardware dell’azienda. Jobs era appena ritornato e insieme ridisegnarono il futuri prodotti di Apple. Mentre tutte le aziende di software andavano in una direzione, Jobs insistette e volle l’integrazione assoluta del prodotto/computer: hardware, software e servizio. Venne preso per pazzo per l’ennesima volta, ma tutta l’azienda si rimise a progettare quello che ora molti di noi usano quotidianamente.
A livello software erano già bravi, nel prodotto lo erano stati, il servizio era tutto da inventare.
Prima la rivoluzione avvenne in termini di prodotto, Ive progettò con il suo team l’iMac, un prodotto che rivoluzionò ancora una volta il mercato, un personal computer che sembrava un ovetto colorato, senza floppy disk, tutto integrato e costruito con plastiche traslucide, trend del momento nel settore casalingo. Un prodotto da vivere anche in casa: uno strumento performante quando acceso, un soprammobile quando è spento. Non più solo un computer da ufficio ma un oggetto piacevole, ricco di dettagli e che potesse integrarsi in ambienti domestici anche sofisticati. Il secondo passo fu la piattaforma OS X, per chi era cresciuto con il sistema operativo precedente fu uno shock. Per i puristi della mela morsicata un dramma vero e proprio. Per l’azienda fu l’integrazione del mondo legato ai servizi e la chiusura di un processo. Non era solo un nuovo sistema operativo ma una piattaforma più aperta che voleva dialogare con tutte le altre realtà imprenditoriali e soprattutto con il settore consumer. Mac si era trasformato e adattato, era diventato più commerciale! L’OS X ha poi integrato iTune, la musica, i film, le foto, i social e tanto altro.
http://www.businessweek.com/magazine/content/06_39/b4002414.htm
http://designmuseum.org/design/jonathan-ive
Rievocando i risultati qualitativi ed i feedback del consumatore finale, fondati sull’efficienza del processo progettuale, un Mac viene oggi acquistato soprattutto perché è un bellissimo oggetto, la sua fisicità è predominante rispetto a tutto (molti infatti ci caricano Windows). Quando l’iMac fu lanciato sul mercato, attraeva perché usava materie plastiche diverse da quelle usate fino a quel momento (ABS grigio scuro o chiaro) ma anche per la ricchezza di tutti i suoi dettagli. I cavi completamente trasparenti esaltavano il colore dei fili elettrici, la presa avvolgi-filo era un oggetto anch’esso creato ad hoc, la tastiera, il mouse ed infine anche i manuali e le garanzie avevano una grafica e una modalità espressiva in sintonia con il prodotto e con il software allegato; tutto si racconta attraverso lo stesso inequivocabile linguaggio.
Grazie a questa impostazione, oggi il prodotto di Cupertino esprime la massima espressione nel rispetto del Design Process. La progettazione in modalità condivisa e il dialogo aperto tra tutti i dipartimenti permette la realizzazione di prodotti molto raffinati.
Non è un caso che i nuovi MacBook Air, MacBook Pro, iPad, iMac vengono ricavati da barre di alluminio pieno, fresate a controllo numerico, offrendo un guscio monolitico molto solido ed esteticamente sofisticato. Se apparentemente questi prodotti fanno parte di un normale panorama di acquisto, dobbiamo osservare che, arrivare a produrre oggetti di massa e di larga distribuzione non è un’operazione semplice. La concorrenza rincorre e i prodotti di simile concezione non hanno poi le stesse caratteristiche costruttive. La Apple continua a credere in obiettivi prioritari quali l’innovazione e la semplicità complessiva, sia dal punto di vista estetico che dal punto di vista d’uso.
Altro elemento dirompente del sistema sono le campagne mediatiche dei prodotti. Il racconto è importante e strategico e chi racconta non lascia scampo all’attrattività. La presentazione di un nuovo device viene di solito introdotto dai manager che hanno partecipato al progetto che, con una certa semplicità svelano piano piano il come è stato concepito e costruito il prodotto. Con questa tecnica, avvicinano l’utente finale al potenziale acquisto. Passo dopo passo, educano l’interlocutore alla filosofia Apple, alle tecniche di produzione usate, alle prestazioni e ai contenuti, a quello che effettivamente il prodotto è in grado di fare, tutto in modo molto sofisticato. In questo modo vendono un altro prodotto ma soprattutto invogliano a diventar parte di un club. Ricordiamo tutti la campagna Think Different!
Oggi i prodotti di Cupertino sono molti, sono cool, sono belli, hanno software accessibili, possono essere comprati via web attraverso un sito ben progettato o possono essere toccati con mano e acquistati in negozi-boutique collocati in posizioni molto strategiche, o ancora in negozi monomarca come nella quinta strada o nel quartiere di Ginza, all’interno di altri negozi di elettronica si trovano corner-shop molto caratterizzati dall’ID Apple. Poi ci sono anche la musica, i film, le app e i programmi, tutti ovviamente disponibili in Apple-store-virtuali e in rete, molto brand-oriented. La grafica, il packaging e i manuali si esprimono sempre in modo coeso. Infine anche il customer care funziona bene. Costa tutto un po’ di più, ma i consumatori sono disposti a pagare questo scotto pur di ottenere un plus, un prodotto che rappresenta la realizzazione di un desiderio fortissimo.
Tutto questo mondo è sicuramente il risultato di un genio, ma anche espressione di Cultura del Progetto e di molto Design Process.
Negozio sulla Fifth Av a NY
http://www.apple.com/retail/fifthavenue/gallery/
Negozio nel quartiere di Ginza a Tokio
Negozio come landmark
Display
Informazioni prodotto
iPad: dal packaging al software, questione di dettagli
http://www.engadget.com/photos/apple-ipad-unboxing-and-hands-on/#2860389
Link su LINKIESTA:
http://www.linkiesta.it/steve-jobs
http://www.linkiesta.it/all-about-apple
http://www.linkiesta.it/steve-jobs-non-ha-partorito-idee-ma-la-nostra-realta
Cultura del Progetto nei nostri post passati:
http://www.linkiesta.it/blogs/design-kit-inspiration-and-references/design-thinking-ma-cos-e-veramente
http://www.linkiesta.it/blogs/design-kit-inspiration-and-references/progettazione-partecipata-e-gia-realta
http://www.linkiesta.it/blogs/design-kit-inspiration-and-references/cosa-vuol-dire-progettare-il-servizio-pubblico