Dodici ore di fila in piedi, pagamenti in ritardo, perfino enormi danni alla salute. Dopo l’articolo che qui su Linkiesta parlava dello sfruttamento dei giovani cinesi nelle fabbriche di elettronica che producono l’iPhone, nei giorni scorsi in Cina è scoppiato un nuovo caso che coinvolge un grande nome della moda internazionale: Gucci.
Secondo quanto riportato dai giornali cinesi come il National Business Daily – e dal China Daily Usa, l’unico che io riesca a leggere direttamente essendo in inglese – cinque dipendenti di un negozio Gucci (PPR Group) a Shenzen hanno accusato l’azienda di averli pagati in ritardo ma soprattutto di aver imposto loro condizioni di lavoro disumane. L’impossibilità di mangiare o bere durante tutte le ore di lavoro – fino alle 22, orario di chiusura dei negozi, e oltre, per avvantaggiarsi per il giorno dopo – avrebbe addirittura causato un aborto spontaneo a una delle dipendenti.
Per quanto riguarda i pagamenti in ritardo, Gucci era già stato coinvolto in una disputa con un ex operation manager dell’azienda in Cina che, non essendo stato pagato, ha fatto ricorso al Chaoyang Arbitration Committee for Labor Disputes di Pechino.
Gucci, dal canto suo, nega ogni possibile comportamento scorretto nei confronti dei dipendenti affermando che il loro benessere è in cima alla lista delle priorità del marchio, che in Cina ha trovato un mercato fiorente come molte griffes del lusso italiano (sempre il China Daily Usa riporta una redditività del +36.5% nella prima metà di quest’anno).
Stabilire chi ha ragione è praticamente impossibile ad oggi, considerando anche le scarse informazioni giunte fin qui. Se fosse falso questa non sarebbe che una pessima pubblicità per il marchio dalla doppia G impegnato anche sul fronte Africa ad aiutare donne e bambini disagiati. Se fosse vero sarebbe una deriva inqualificabile, soprattutto per chi predica la qualità dei prodotti e delle logiche occidentali..