Forse resta nella coerenza del personaggio perfino la scomparsa a 91 anni nel giorno di Natale. Aveva avuto ben poco a che fare in vita con Gesù Bambino, e pure con la Chiesa cattolica, che considerava al fondo una delle ragioni strutturali dell’arretratezza del Paese. Un’idea tenace, costruita negli anni delle sue grandi inchieste sull’Italia del boom, quando raccontava su “Il Giorno” di Italo Pietra e dell’ENI di Mattei quella realtà di un Paese in tumultuoso sviluppo e carico di speranze per il futuro e di prezzi sociali da pagare nel presente.
La penna di Bocca scalfiva nella rappresentazione di un quadro poco amato dall’ingessata stampa cosiddetta indipendente e dava, nella sua descrizione scabra e talvolta urticante, un po’ più di consapevolezza di sè non solo ai suoi lettori ma anche all’esperimento di un giornale a capitale pubblico che incideva sia sullo scenario politico che sul mutamento sociale.
Testardo e solido come la sua terra (la “Provincia Granda” di Cuneo), segnato dalla vicenda della Resistenza dove aveva combattuto nei gruppi azionisti di Giustizia e Libertà, Bocca si sentirà sempre un “uomo di sinistra”, ma con la forza e la spigolosità sufficiente per rifiutare il bigottismo di quella ufficiale. A cominciare dal monolite del PCI, duramente messo in discussione dal suo libro forse più celebre. Infatti nella “Storia dell’Italia partigiana” sgretolava con le prove di una rigorosa documentazione l’immagine oleografica della “resistenza solo rossa”, resitituendo la complessità e pure le contraddizioni dell’epopea della Liberazione.
Anticonformista fino alla provocazione e talvolta volutamente sgradevole pur di affermare i suoi valori, non si peritava incursioni inattese in ambiti “politically incorrect” dove lo portava la sua inesausta curiosità di cronista di razza e di scrittore intellettualmente onesto. Fu così quando, pur tra i fondatori di Repubblica, non si sentì in colpa nel collaborare alle tv del Cavaliere. E pure, ad esempio, quando non nascose la realtà scomoda de “L’Italia disunita”, sapendo cogliere fino in fondo le zavorre del Sud.
Sopportato a malapena anche da “quelli della sua parte” che non amavano i suoi furori morali “non selettivi”, appariva ormai come un autorevole brontolone, che vedeva allontanarsi sempre di più, in un Paese e in un giornalismo che scorgeva disinvolto e sguaiato, quell’idea di un’Italia laica e civile, eticamente rigorosa e di modi riservati, che aveva sempre sognato e perseguito. Addio, maestro involontario e bizzoso di generazioni di cronisti, conquistati da uno “stile” che nasceva non da felicità di scrittura ma dallo scavo cocciuto nella fatica del lavoro artigiano.Che la terra gli sia lieve.
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