Ai colleghi di “Liberazione” ormai all’ultimo numero va, per quello che vale, la solidarietà e l’amicizia sincera. Eppure nel dibattito che qui si è aperto sulla stampa di partito e sulla loro sopravvivenza con i contributi statali varrrebbe forse la pena di superare un antico equivoco. Quello cioè che solo gli organi politici godano del supporto finanziario dello Stato. Non è mai stato vero: infatti i contributi pubblici all’editoria, che sono erogati da tempo immemorabile, riguardano tutti, ma proprio “tutti” i giornali in edicola, compresi quelli che si presentano come “indipendenti”.
Infatti buona parte degli stanziamenti sovvengono ad abbattere una serie di costi industriali, come la spesa per la carta, di invio postale, di distribuzione, ripartiti di solito per testata secondo il numero di copie stampate o vendute.Senza questi contributi (e soltanto con i ricavi di vendita e pubblicità) nessun quotidiano riuscirebbe a reggere autonomamente la sfida delle edicole. Anzi, nell’era pre-web, l’unica stampa che si ripagava da sola, senza aiuti economici diretti o indiretti, era soltanto quella pornografica.
Allora la polemica qualunquista contro la stampa politica (che riemerge periodicamente in un clima mediatico opaco) ha il sapore dell’ipocrisia tipicamente italica. Se si vuole far cessare la condizione dell’assistenza di Stato, la si tolga tutta a tutti, compreso magari il quotidiano di Confindustria. Se invece si ritiene che sia un “bene pubblico” la presenza di voci diverse nel campo dell’informazione, che la pluralità del pensiero e dei punti di vista sia una ricchezza indispensabile in una matura democrazia, una qualche forma di facilitazione è più liberale di quanto si possa pensare (come accade per altro per la cultura, il cinema e lo spettacolo).
Certo ci sono stati e ci sono abusi e incongruenze da correggere con rigore ed errori di gestione editoriale che hanno portato alla sopravvivenza stentata di molti organi cartacei e alla loro estinzione. Eppure il principio di tutela della pluralità dell’informazione non è disgiunto dai doveri generali di una collettività. Piuttosto, come qui già sottolineano Massimiliano Gallo e Peppino Caldarola, la libertà della comunicazione e la logica dell’editoria non può ignorare la realtà moderna dell’informazione “on line”. Il giornalismo è una strana bestia, piena anche di viltà e di propaganda, eppure nessuna società può farne a meno. Anche su Internet : se c’è solo il mercato selvaggio, vince sempre il porno…