BENVENUTI AL NORDI talenti sprecati delle donne

A volte i dati nudi e crudi giocano brutti scherzi… E così viene facile accostare livello di istruzione delle donne e natalità, creando un’incauta relazione di causa ed effetto tra la crescita dell...

A volte i dati nudi e crudi giocano brutti scherzi… E così viene facile accostare livello di istruzione delle donne e natalità, creando un’incauta relazione di causa ed effetto tra la crescita della prima e il crollo della seconda. Che si traduce in un altrettanto inappropriato suggerimento di ridurre l’istruzione femminile per vedere finalmente risalire la fertilità in Italia. Forse bisognerebbe riderci su queste ipotesi e lasciare che queste tristi affermazioni finiscano semplicemente nel dimenticatoio. E, invece, è giusto rifletterci perché dietro a queste argomentazioni si nascondono alibi, anche culturali, per continuare a privare l’Italia di una risorsa fondamentale per il suo sviluppo: le donne, la loro istruzione, le loro capacità e la possibilità di realizzarsi in qualsiasi ambito politico, economico, sociale e culturale in cui siano in grado di esprimere il proprio talento e il proprio contributo alla Paese, senza per questo dover rinunciare al loro ruolo madri.

Basta guardare ad altri Paesi, anche del nord Europa, o alla vicina Francia o solo al Trentino Alto Adige, per osservare contestualmente alti livelli di istruzione e di occupazione femminile così come, guarda caso, di fertilità. E allora, approfondendo un po’ l’analisi, si vede che la vera differenza tra l’Italia e questi Paesi, oltre a quella culturale, sta nella quota di risorse dedicate in termini di Pil a favore delle famiglie, non delle donne. Gli ultimi dati, riportano che in Italia è destinato ad aiuti in denaro e servizi per le famiglie solo l’1,4% del Pil, quota inferiore a quanto in ambito Ocse viene destinato nei paesi a passa fertilità (1,8%) e decisamente lontano da quanto viene fatto in quelli ad alta fertilità (2,8%) tra contributi, servizi e detrazioni fiscali.

Per le donne l’istruzione è ancora la migliore strada per garantirsi adeguate occasioni professionali e la crescita della quota di donne occupate fino al 60%, previsto dalla strategia europea, si calcola possa portare a una crescita del Pil del 7%, alla crescita della massa fiscale e previdenziale, a una diminuzione del rischio di povertà dei figli dal 22,5 al 2,7% e all’avvio di un circolo virtuoso in grado di generare nuova occupazione e nuova imprenditoria – ad esempio nei servizi di cura per bambini e anziani – e, quindi, ulteriore crescita economica di cui l’Italia ha indubbiamente bisogno.
In ultima analisi, inoltre, una maggiore quota di donne impiegate nel mondo produttivo genera anche un cambiamento culturale nei modelli familiari, spingendo anche i padri, istruiti e non, a una maggiore consapevolezza del loro ruolo attivo nella gestione e nella cura dei figli. Permettendo alle donne di oggi e di domani di non rinunciare né al lavoro, né ai libri, né ai figli.

Silvia Oliva
http://www.fondazionenordest.net/-N–3—2010—Donne-italiane-nel-2010.688.html

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