«Affittare l’Acropoli potrebbe essere una soluzione sostenibile». L’ex vice ministro greco della Sanità Gerasimos Giakoumatos rispolvera Totò, solo che al posto della Fontana di Trevi c’è il Partenone. Mesi fa i media tedeschi hanno consigliato ad Atene di vendere le proprie isole per risanare i conti pubblici. Grande era stato lo sdegno del governo di George Papandreou. Ma ora le cose sono cambiate. Il programma di consolidamento fiscale procede a rilento e tutti gli stratagemmi possono soddisfare le esigenze di liquidità di Atene. Compreso l’affitto del Partenone.
L’esponente di Nea Dimocratia, il partito di centrodestra che ha dovuto cedere il passo ai socialisti del Pasok, non scherza. «Che cosa è più umiliante, quando chiediamo finanziamenti esteri o quando un turista cinese arriva ad Atene e trova l’Acropoli chiusa?», si è chiesto Giakoumatos. Scontata la risposta. Complici i diversi scioperi che da due anni a questa parte hanno bloccato il Paese, i disagi per i turisti sono stati elevati. Ecco quindi che può spuntare l’ipotesi di un leasing, magari in mano a investitori stranieri. Ma la partita è anche politica. Da un lato Fondo monetario internazionale (Fmi), Banca centrale Europea (Bce), ovvero la troika, stanno negoziando le nuove misure d’austerity per la Grecia, in vista del secondo piano di salvataggio, varato quest’anno. Dall’altro il Paese non riesce più a riprendersi. L’ex vice ministro ha pronta la ricetta: «Invece di ridurre ancora stipendi e pensioni, per fare cassa lo Stato greco potrebbe dare in leasing l’Acropoli e anche tutti gli altri siti archeologici». Il premier Lucas Papademos non ha commentato, forse per evitare una baraonda.
Nel frattempo, il governo ellenico sta continuando a trattare con i creditori privati in cerca di un accordo sulla ristrutturazione del proprio debito. In particolare, è viva la discussione sull’haircut, cioè il taglio del valore nominale dei bond ellenici detenuti in portafoglio. L’Institute of international finance ha ribadito che «l’unica via è quella di un haircut del 50%, non di più». Eppure, sia il governo di Atene sia il Fmi sarebbero per una soluzione più radicale. Del resto nell’ultima Debt sustainability analysis (Dsa) del Fmi è scritto nero su bianco che, senza un impegno significativo da parte dei creditori privati, cioè banche e fondi d’investimento, c’è solo il default. Al 20 ottobre nelle casse del Tesoro c’erano 11 miliardi di euro. Nel prossimo marzo scade un maxi bond da 14,4 miliardi di euro. Attualmente il titolo di Stato greco a un anno ha un rendimento del 381 per cento. Forse, visti i dati, l’idea di Giakoumatos è da prendere seriamente in considerazione.