Tutti ne parlano, ma nessuno lo conferma a microfoni aperti. A Davos, la ridente cittadina svizzera dove si sta svolgendo il World Economic Forum, si parla apertamente di quanto è inadeguata la governance economica europea. Economisti, imprenditori, analisti e giornalisti non fanno altro che rimarcare come l’eurozona si sta disgregando per via di un’Europa che ha perso la bussola, oltre che il tempo.
«La Grecia servirà per tracciare una linea, ma la fatica che si sta facendo è troppa e il tempo a disposizione troppo poco». A dirlo è il gestore di un importante hedge fund. E ha ragione. A Davos in molti si chiedono in che modo Atene potrà uscire dal baratro senza immense perdite per tutti, Stati compresi. Ma non c’è solo la Grecia. Il pericolo di un contagio verso Italia, Spagna e Francia, anche dopo le azioni della Banca centrale europea, è reale. Nel caso Atene non ce la facesse, si avrebbe il primo fallimento sovrano nella storia dell’eurozona. Un aspetto che spaventa più i politici europei che l’anima economica del Vecchio continente. «Se non si mette a punto un sistema di protezione capace di comprendere anche Roma e Madrid, lo scenario peggiore potrebbe essere quello più veritiero», mi scrive un banchiere elvetico via BlackBerry, di certo intimorito da quello che potrebbe succedere nei prossimi mesi.
Fra le nevi di Davos i più ricercati sono i funzionari del Fondo monetario internazionale. Sono gli unici che hanno compreso il pericolo che corre l’Europa. E sono gli unici che da mesi stanno mettendo in guardia i politici Ue. Questi però sono ingessati da un sistema di governance del tutto incapace di avere una condivisa unità di gestione delle criticità. «L’affaire Grecia poteva e doveva essere risolto molto tempo fa, ora è tardi», mi scrive lo stesso banker svizzero di prima. E mentre lui si fionda nel pranzo del WEF di Davos, l’Europa continua a essere prigioniera della sua struttura.