Women must go on…Le Premières Dames come Ivana Mrazova: spersonalizzazione forzata

L’associazione Pulitzer si è resa portavoce della protesta contro il servizio del Tg1, “La donna dell’Ariston”. L’organizzazione no profit, ha pubblicato sul sito una lettera alla Direttrice Genera...

L’associazione Pulitzer si è resa portavoce della protesta contro il servizio del Tg1, “La donna dell’Ariston”. L’organizzazione no profit, ha pubblicato sul sito una lettera alla Direttrice Generale della Rai, Lorenza Lei, affinché si faccia promotrice di una rivoluzione comunicativa all’interno delle reti pubbliche.
Nell’appello, sottoscrivibile da qualsiasi utente della rete, si richiede un risarcimento di immagine, segno di scusa alle donne italiane.

Sebbene il servizio di Mollica abbia scatenato la disapprovazione generale della rete, facendo sì che private cittadine, associazioni e blogger si attivassero affinché l’attenzione dell’opinione pubblica prendesse consapevolezza delle immagini denigranti, le grandi piattaforme giornalistiche non hanno dato alcuna eco alla vicenda.

La linguistica contemporanea e la scrittura teatrale definirebbero la questione come un problema di destinatario, di testo e sottotesto. Al pubblico generalista è stato sottoposto un testo di semplice decodifica: la presentazione agli italiani della figura femminile del festival 2012, che esula da considerazioni sui metodi e le immagini ad essa associate; al destinatario è anche proposto un sottotesto che però varia a seconda della ricezione da parte del destinatario (in base a diversi
background e convinzioni).
Nonostante tutto, le teorie comunicative hanno affinato gli strumenti per far sì che il destinatario collettivo percepisca e recepisca lo stesso significato. Una sorta di inganno che permette al soggetto di accogliere un vero e proprio universo valoriale, che rimane radicato inconsciamente, molto più della notizia. Nello specifico: quante persone ricorderanno il nome della valletta e quante avranno ben stampato in mente il suo aspetto da donna-oggetto-del desiderio?

La semiotica ci insegna che il gesto vale quanto la parola, quando questo ha un fine comunicativo. L’antropologia ha inoltre definito lo spazio (nel senso della prossemica di Hall) occupato da un personaggio che diventa più o meno significativo a seconda del ruolo svolto dal personaggio stesso.
Avendo già analizzato le sequenze del video e non volendo essere ripetitivi, data anche l’eco emulativa delle successive analisi spuntate in rete, si vuole portare il discorso a un livello universale per dimostrare, a malincuore, che le numerose lotte a favore di una più equa rappresentazione femminile avranno la meglio quando si sarà esaurito l’universo valoriale cui attinge quel tipo di comunicazione sessista.

La subalternità della donna all’uomo è talmente radicata da fare da sottotesto anche a un testo che non avesse intenzioni discriminanti. Un esempio? La Stampa, in data odierna, ha pubblicato un articolo, a firma Alberto Mattioli, dal titolo Première Dame, dietro il palco la sfida tra eleganza e volontà, riferendosi, naturalmente, alla possibile contrapposizione politica tra Nicolas Sarkozy e François Hollande alle prossime presidenziali francesi.

L’autore racconta le due donne a tutto tondo, focalizzandosi, per motivi di minore popolarità, sulla meno nota Valérie Trierweiler, compagna dello sfidante socialista. Provenienza sociale, istruzione, matrimoni precedenti, gossip, sono solo alcune delle caratteristiche narrate da Mattioli sulla vita di Trierweiler. Il lettore viene addirittura a conoscenza del fatto che a detta di tutti sia una donna intelligente, come se, permettetemi l’interpretazione da femminista acida, sia necessario un consesso autorevole per dichiarare le capacità intellettive femminili. Di Carla Bruni non si dice granché, poiché come lo stesso Mattioli ammette si sa quasi tutto; di entrambe però si sottolinea un tratto comune: faranno campagna per i rispettivi partner.

E’ qui che entra in gioco il testo e il sottotesto: l’affermazione di per sé può sembrare lapalissiana, l’articolo, in un certo qual modo, narra qualcosa che il lettore dà per scontato: l’aspetto e lo spessore della moglie di un candidato all’Eliseo fa parte della campagna elettorale quasi al pari delle proposte politiche del potenziale presidente. Ma il lettore si è mai soffermato sulla ragionevolezza di tale parallelismo? Quanto, riflettendoci seriamente, è possibile definire una donna tratto caratterizzante di un politico?
Sebbene un detto latino affermi che una donna coraggiosa sostiene il marito, rivelando e rilevando un’inaspettata fiducia nei confronti della positività (da dietro le quinte) del ruolo femminile nella società romana, la contemporaneità sembra svuotare il proverbio di senso.

Se Carla Bruni ha vissuto molti periodi di protagonismo mediatico individuale, potremmo dire lo stesso per Trierweiler? E’ plausibile ipotizzare che la moglie di Hollande sia sconosciuta alla maggior parte del pubblico generalista. Sebbene Mattioli le offra la vetrina de La Stampa, quale l’immagine delineata nell’articolo? Si direbbe, senza offendere l’autore, una mera pedina mossa in base alla valenza politica le cui azioni negative determinerebbero conseguenze sulla vita istituzionale del compagno.
Citando La Stampa: «Nel 2005, quando a Paris Match la scoprono, [si scopre la relazione con Hollande N.d.A.] la tolgono dalla politica e la mettono a recensire libri. E quando Hollande vince le primarie, per lei finisce anche la carriera di intervistatrice politica in tivù».
Sicuri che l’autore utilizzi volutamente e con sarcasmo una scrittura maschilista, volendo lui stesso enfatizzare il ruolo di pedina spersonalizzata mossa a piacimento di chiunque, potremmo senza grande sconcerto prendere anche per buona questo tipo di scrittura, perché tornando ai concetti di destinatario, testo e sottotesto, possiamo affermare senza troppo margine di errore che almeno il 70% dei lettori si fermerebbe alla lettura letterale, rendendo la nostra analisi uno sproloquio da femminista disperata.

E’ la cultura patriarcale ad aver insegnato ai media la subalternità della donna. Secoli di maschilismo hanno reso addirittura naturale che si offra come notizia meritevole di attenzione il fatto che Trierweiler si consoli chiudendosi in casa a fare le lavatrici, piuttosto che mettere in evidenza il suo curriculum vitae.
Se, quindi, Carla Bruni e Valérie Trierweiler, non sono altro che le ‘moglie di’, come ci si può sorprendere se Ivana Mrazova è definita la donna dell’Ariston? Basterà una protesta sui social network per rivoluzionare la comunicazione? Sfortunatamente sono certa di no.

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