La Lega, si sa, “ce l’ha duro”… Ma è altrettanto viscerale ed uterina nel calore spesso scomposto della sua militanza, al punto da manifestare in questi tempi in rapida evoluzione isterie e scalmane tipiche dell’età critica. Come il divieto notturno di tutti gli incontri di partito sul territorio che abbiano come unico esponente di rilievo Roberto Maroni.
Certo, il passaggio solitario ed orgoglioso all’opposizione parlamentare del “governo tecnico”, dopo mesi di rospi ingoiati, ha portato ad una liberatoria e benedetta fuoriuscita dalla prigione dell’alleanza con il Berlusca. Ma la prospettiva movimentista e protestataria, che resta nel DNA del Carroccio, si scontra talvolta con la pesantezza e la vischiosità dei passaggi politici, residui di un passato prossimo che non è mai possibile tagliare di netto.
E la spinta dal basso verso un cambio di strategia che porti la Lega alla pienezza delle “mani libere” ha trovato nell’ex ministro dell’interno il referente più credibile e seguito. E tuttavia il quadro nel quale si è consumato lo scontro interno più duro era segnato da variabili estranee alla collocazione del Carroccio. Infatti era sottotraccia la preoccupazione del Colle ad evitare che si agitassero le acque nella navigazione del governo Monti già difficoltosa di suo. Sia per la mina referendum elettorale disinnescata dalla Consulta sia per il contemporaneo voto alla Camera sull’arresto di Cosentino.
E lo scrutinio segreto era strumento utile a sanare possibili lacerazioni politiche: nell’urna che ha “salvato” Cosentino non è bizzarro supporre che siano arrivati corposi “aiutini” dall’UDC e dal PD, in numero sufficiente a vanificare il conclamato voto contrario della stragrande maggioranza del gruppo parlamentare della Lega. Con il risultato non disprezzabile (ad esempio per Casini) di calmare le acque intorno all’esecutivo e al suo composito esercito di sostegno, agitandole invece nell’unico partito di chiassosa opposizione. La cautela di Bossi nello scorrere tumultuoso di quella vicenda ne è stato alla fine il segnale più evidente.Anche perchè del voto segreto sulle autorizzazioni a procedere ha una certa esperienza, come quando nell’aprile del 1993 salvò nell’urna Craxi, anche se in pubblico i suoi sventolavano il cappio.
Sorprende piuttosto la determinazione, gradita alla base, espressa da un prudente Maroni, abituato di solito a tessere alleanze trasversali nel gioco politico. In realtà, sino ad ora, aveva sempre fatto in modo che, nel conflitto interno al partito, le forzature e le scomuniche arrivassero sempre e solo dall’altra parte, dal “cerchio magico” dei pretoriani di Gemonio. Questa volta ha forzato i tempi, forse persuaso da un suo meno noto “magico cerchietto”. Che non incornicia più il volto della sua portavoce, Isabella Votino, ceduta in prestito al Milan di Berlusconi (siamo nel pieno del calciomercato e alla vigilia del derby), non si sa però se con diritto di riscatto.
Ora arriva il silenzio imposto per decreto al dissenziente non ancora ribelle. Chi ha conosciuto la ormai trentennale storia della Lega sa che il legame umano e personale, prima ancora che politico, tra Bossi e Maroni può certo vacillare, ma sembra ancora lunga la strada che conduce ad una rottura traumatica e definitiva.Pur se formalmente provocato e punito (come è già successo) il Bobo non farà ai pretoriani il piacere di uscire sbattendo la porta.La Lega, senza infingimenti, la vuole: ma, quando accadrà, la vuole tutta, Bossi compreso.