Women must go on…Zahia Dehar: L’escort della moda o la moda delle escort?

La notizia che Zahia Dehar, nota alle cronache internazionali come l’escort più famosa di Francia, sia diventata una creatrice di lingerie femminile ha del pirandelliano: il ‘sentimento del contrar...

La notizia che Zahia Dehar, nota alle cronache internazionali come l’escort più famosa di Francia, sia diventata una creatrice di lingerie femminile ha del pirandelliano: il ‘sentimento del contrario’ si scatena, però, non a causa di una severa moralità nei confronti della professione di Dehar, bensì nei confronti della facilità di reinventarsi, concessa a quei personaggi, sicuramente di bella presenza, che hanno dominato le copertine dei giornali, a causa di o meglio grazie a scandali sessuali.

La ragione per cui le varie Dehar possano permettersi un’ascesa così rapida nel panorama della moda mondiale è strettamente connessa a quanto più volte rilevato nella prima sede di Women must go on, ossia al forte legame remunerativo esistente tra sesso e economia. Non volendo sottovalutare le potenzialità di nessuno, ci si chiede, però, se il mondo della moda, spesso messo sotto accusa per aver prodotto un’immagine patinata, plastificata, a volte denigrante del corpo femminile, abbia accettato la rivoluzione artistica della ex escort per democrazia paritaria o ne abbia semplicemente sfruttato la notorietà per aumentare il fatturato.
Si potrebbe rispondere che entrambe le ipotesi siano esatte: sono molte, infatti, le favole che la moda ha reso realtà, dalla notissima Cocò Chanel alle nostrane sorelle Fontana, ma se le storie di queste stiliste raccontate da cronisti, reporter e sceneggiatori, hanno dato alla moda un’immagine positiva di arte e libertà, di luogo in cui il gender gap era solo un’etichetta da biblioteca, oggi la presenza di Zahia Dehar ci obbliga a una riflessione sul valore della creazione artistica.

Proponessimo un sondaggio sull’ammirazione dei consumatori nei confronti dello stile contemporaneo, si registrerebbe una diminuzione di percezione dello spessore creativo dei designer, poiché il confronto con i grandi del secolo scorso, rende più difficile la fidelizzazione del cliente. La crisi economica, inoltre, ha evidentemente aggravato il calo delle vendite o per lo meno la sua percezione, la moda ha, quindi, risposto passando dall’esaltazione della creazione allo sfruttamento delle strategie di mercato.
Paris Hilton, Lindsay Lohan e Hilary Duff, solo per citarne alcune, hanno rappresentato una nuova fase della moda, quella che si affida alla bella (e nota) immagine del creatore più che all’unicità della creazione.
Ora Karl Lagerfeld, promotore della linea di Dehar, si spinge oltre: se prima si enfatizzava la sensualità (citando solo indirettamente la sessualità) ora è la sessualità il tratto caratterizzante e dominante della figura proposta.

Ci si trova di fronte alla sensazione che il marketing sul corpo delle donne si stia avviando verso un punto di non ritorno in cui la donna è allo stesso modo produttrice e prodotto: avvia l’attività partendo dal proprio corpo, cosa, che senza giudizi morali, non differisce molto dall’attività di escort.
Dehar si è presentata in passerella quasi senza veli, vetrina di se stessa e della sua creazione, non a caso, una linea di lingerie rivolta a donne che, acquistando il prodotto, conquistano, in qualche modo, il suo potere sessuale, moderna rievocazione dell’omerico canto delle sirene.
Non si vuole demonizzare l’effetto ammaliante proposto implicitamente al cliente-obiettivo della campagna pubblicitaria; la questione si pone su un piano diverso: la moda delle escort, scoppiata mediaticamente negli ultimi anni, soprattutto nel nostro Paese, sta relativizzando all’estremo i concetti propugnati dalla battaglia femminista?
In qualche modo, vista da un’ottica di totale diritto di libertà di uso del proprio corpo, si potrebbe affermare che l’essere imprenditrici di se stesse, prima ancora di un prodotto, sia il più grande risultato dell’emancipazione femminile. Ciò sarebbe inopinabile se potessimo prescindere dal sistema in cui tale libertà si manifesta: un sistema prettamente maschile in cui la donna tende a essere vista solo per quello che appare, destituita delle potenzialità insite nell’essere.

La vicenda manageriale di Zahia Dehar si pone, infatti, in posizione liminare all’interno della diatriba filosofica tra “Libertà di e Libertà da”. Sicuramente la neo stilista non sarà vittima della guerra tra donne, invenzione mediatica di qualche penna maschile, semmai, ma non glielo auguriamo, sarà sacrificata sull’altare del meccanismo che l’ha portata alla ribalta: meccanismo che porta alle stelle per poi far ricadere nell’oblio.
Ed è qui che si manifesta la differenza tra l’industria e l’arte: anche la più evoluta strategia di marketing non riuscirà mai a produrre a tavolino l’eternità.

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