«Per favore, togliamo i finanziamenti all’editoria laddove l’editoria non sta in piedi da sola. Non si tengono in piedi i morti, perchè c’è puzza di cadavere». Lo ha detto l’Ingegner De Benedetti tenendo una lectio magistralis presso l’Università di Palermo. Poi, a margine, è tornato sull’argomento con alcune notazioni, dirette soprattutto ai giornali di partito. «Guardiamo ai giornali di oggi e agli abusi che vengono fatti, che sono stati fatti e che continuano a essere fatti – prosegue De Benedetti – Bisognerebbe togliere tutti i finanziamenti pubblici che poi finiscono normalmente in violazione delle leggi, in furti e abusi». I giornali di partito «se li paghino i partiti. Se hanno già i rimborsi elettorali non si caposce perchè noi contribuenti dobbiamo pagare i giornali di partiti. Se li paghino loro e cerchiamo di essere seri»
Sembra che tutto fili. E invece no, perchè non si capisce proprio perchè chi può vivere sena aiuti li debba ricevere. Se avesse detto: “togliamo i finanziamenti e le agevolazioni all’editoria. Punto e basta. Chi come noi di Repubblica-L’Esppresso può stare sul mercato ci starà. Chi non ce la fa, non ce la fa” avrei sottoscritto tutto, ne avrei perfino fatto un piccolo manifesto. Invece – forse è una coincidenza, forse no – l’intervento di De Benedetti sembra assonante con quello del sottosegretario all’Editoria Paolo Peluffo che giusto ieri annunciava un nuovo finanziamento al fondo per l’Editoria. Criteri nuovi, più rigorosi, ha spiegato, per assegnare soldi ai giornali. “Li daremo solo ai giornali che vendono”: ha detto Peluffo, e tra questi c’è senz’altro La Repubblica, ma “aiutando le aziende a capire quale sia la vera dimensione sostenibile”. Ha anche spiegato che l’Iva al 21% (23% prossimamente) sui giornali on line rende difficile il loro sviluppo, se confrontata con il 4% che pagano invece i giornali di carta. Eh, già.
Sta di fatto che, alla fine del giro di consultazioni e interviste, i “soldi dei contribuenti” – come li chiama De Benedetti – finiranno ad aiutare i “giornali che vendono”. Mentre a me piacerebbe che restassero in tasca ai contribuenti: che sono cittadini grandi abbastanza per investire nell’informazione che vogliono loro. Con o senza carta, ormai è un dettaglio, anche se fisco, politica e qualche grande editore non se ne sono ancora accorti.