Cari colleghi de Linkiesta, con tutto il rispetto, non vi pare un po’ di esagerare? Le primarie di Genova hanno innescato un florilegio di interventi (tutti godibili) dove traspare, spesso con amara ironia, quella condizione perenne nell’area intellettuale di sinistra, ovvero il macerarsi intorno all’ombelico, senza uscire con lo sguardo dal proprio recinto di appartenenza.
Se permettete, quello che è davvero più sorprendente è proprio la sorpresa. Come se non fosse già scritto che sotto la Lanterna si passasse all’ultima (per ora)stazione della Via Crucis delle primarie. Se si intraprende, con qualche tormento e con molto onore, il rito democratico per la scelta dei candidati, poi si dovrebbe mettere nel conto il rischio benedetto che anche la propria gente si riveli, con la scheda in mano, più libera e meno “guidata”, più autonoma e meno scema, o almeno meno prona ai diktat dell’apparato.
Anche perchè spaventa la “coazione a ripetere”. E’ dalle primarie di Firenze, dove Matteo Renzi ha vinto contro la nomenklatura di partito; che il copione si ripete. E’ passato del tempo, ma il medesimo esito si è avuto dappertutto (tranne che in una città compassata come Torino, che ha preferito “l’usato sicuro” di Piero Fassino). Eppure, dopo Firenze, la vicenda si è ripetuta a Cagliari, Napoli e soprattutto Milano, dove le sofferte dimissioni dei dirigenti del PD si sono disperse nel clima festoso del successo di Pisapia.
Non è allora il caso di chiedersi se per caso la natura profonda del PD.non sia ormai quella di una “vocazione ancillare” ? E cioè di diventare regolarmente la fanteria di massa di altre leadership, magari di poteri economico-mediatici o di “cento fiori” delle città emersi per gemmazione spontanea. E come mai i dirigenti locali del partito appaiono addirittura e regolarmente “ignoranti” delle inclinazioni e delle attese, degli umori e dei sudori del popolo di riferimento ?
Il paradosso è che il PD viene dato nei sondaggi come il più grande partito italiano e sembra ritrarsi terrorizzato di fronte alle responsabilità e alla sfida che questi numeri comportano. In realtà tutti i partiti sono dubbiosi e incerti, perchè li accomuna la consapevolezza che, dopo Monti (e in questo il governo ha già “vinto”) nulla in politica sarà come prima. Ma per il più grande il dramma del futuro è più enigmatico e inquieto, come se non riuscisse ad esprimere un’idea-forza, una volta uscito dalla calda e rassicurante nicchia dell’antiberlusconismo a prescindere.
Costa non poco ad un interista di vecchia data (e pure stimato biografo dell’avvocato Peppino Prisco), ma questo PD assomiglia davvero all’Inter di adesso. Dove si è perduto lo spirito di squadra, dove ci si affida alle giocate individuali e al peso dei clan, dove i nuovi non sopperiscono al logorìo dei campioni, spremuti da stagioni migliori.
Forse per il PD è il momento di ammettere che l’amalgama di culture diverse (caso Lusi docet) e il conseguente ricambio non è proprio riuscito. E qualcuno ricorderà il vaticinio con il quale il saggio Martinazzoli rifiutò di entrare nel neonato partito. Allora commentò così: “Hanno buttato via il bambino per tenersi l’acqua sporca…”.