La pelle di zigrinoLusi ha denudato la Casta: il guaio non sono gli stipendi ma i finanziamenti

“Morir denno i plebei furfanti oscuri, perché i furfanti illustri sien sicuri” è la morale della favola Il pastore ed il lupo di Lorenzo Pignotti. La stessa morale, a voler esser maliziosi, potrebb...

Morir denno i plebei furfanti oscuri, perché i furfanti illustri sien sicuri” è la morale della favola Il pastore ed il lupo di Lorenzo Pignotti. La stessa morale, a voler esser maliziosi, potrebbe esser tratta dalla tempestiva, risolutiva, inappellabile decisione del Partito Democratico nei confronti del senatore Lusi, reo confesso di aver sottratto 13 milioni di euro dalle casse de la Margherita.

Sia chiaro: non crediamo che in questo frangente il Partito Democratico si sia condotto meglio o peggio degli altri concorrenti. I partiti, abbandonate le inutili ipostasi, sono in realtà fatti da uomini, dai propri militanti, dai propri dirigenti, dai propri deputati, e tra questi è possibile trovare tante persone integerrime e rifiniti ciurmatori, categorie, per quanto ci riguarda, più o meno equamente distribuite in tutte le forze politiche e sociali.

Ciò cui vogliamo, invece, far riferimento è il comprensibile fastidio che molti dirigenti di partito devono aver provato non tanto – o non solo – nello scoprire con quale leggerezza sia stato facile gabbare i controlli statutari, ma, piuttosto, doversi trovare a giustificare le somme che lo Stato, termine ellittico che starebbe ad identificare tutti i contribuenti, destina al finanziamento dell’attività dei partiti politici.
E ciò di fronte ad un opinione pubblica motivatamente infastidita dai continui sacrifici imposti, anche, dalle inefficienze, dai ritardi, dalle incapacità, dalla inettitudine della classe politica italiana.

Così, l’aver pizzicato il senatore Lusi intento a baloccarsi con bonifici bancari, operazioni fiduciarie, ed altri ammennicoli finanziari rischia di mettere a nudo la vera impudicizia della Casta.
Che non è, o non è solo, come andiamo dicendo da tempo, la misura della diaria o il costo del servizio di barberia o i lauti pranzi della buvette a prezzo convenzionato, ma il continuo stillicidio di denaro pubblico per il finanziamento dell’attività partitica, con risorse distratte da altri meritevoli fini di interesse pubblico.
Il tutto, poi, nonostante la truffa delle etichette con la quale ci si ostina a chiamare, in omaggio al senso del pudore demagogico, rimborso spese elettorali quello che un tempo si chiamava finanziamento dei partiti.

E questo, nonostante gli elettori italiani avessero, con maggioranza quasi bulgara, votato contro il finanziamento pubblico dei partiti. Si dirà: ma l’elettorato nel 1993 era suggestionato da Tangentopoli. Vero, ma non più e non meno di quanto non lo fosse nel 1987 e nel 2011 quando votò contro il Nucleare in Italia.
Ma i nostri pifferai ci ammoniscono che nel caso del nucleare bisogna rispettare il voto popolare, mentre nel caso del finanziamento pubblico è possibile aggirare il voto popolare dando un nome diverso alla stessa cosa: avvelenati frutti della malapianta del nominalismo!

Per carità: nessuno nega che i partiti politici svolgano una funzione istituzionale.
Che poi la svolgano male come quelli italiani è un altro paio di maniche.
Nessuno nega che in qualche modo si deve regolare la questione, onde evitare di trovarci una volta ogni vent’anni a discutere e non risolvere i medesimi malanni, magari facendo emergere da un meritato anonimato il pifferaio di turno.

Ma non si può pensare, come chi scrive teme, che il tutto venga risolto oggi inserendo una qualche forma di regolarizzazione, di certificazione e di controllo sui bilanci dei partiti.
Perché il tema che meriterebbe di esser dibattuto è ben altro: siamo davvero convinti, noi cittadini e contribuenti, che la quantità di denaro pubblico assorbita direttamente dai partiti sia ragionevolmente giustificabile?

O, piuttosto, essa non contribuisca ad alimentare un Leviatano bulimico, che crea una propria burocrazia parallela a quella dello stato e troppo spesso capace di condizionarla? E non contribuisca ad impoverire l’attività politica, che si riduce ad essere una professione per mediocri che vi trovano la scorciatoia per sedere al banchetto della vita senza arte né parte come, ahinoi, la storia del parlamentarismo troppo spesso testimonia? E questi professionisti della politica a chi risponderanno quando saranno posti di fronte a scelte impopolari ma necessarie? Alla propria coscienza, pagando con la mancata rielezione e la disoccupazione, o all’atavico principio del “tengo famiglia”, con la certezza di una sinecura ben retribuita?

Lo stato, per il tramite innaturale dei partiti, è diventato un enorme mecenate, distribuendo incarichi, stipendi, sovvenzioni e premi. Così facendo non si è certo incoraggiata la vocazione, ma si sono solo vellicati gli arrivismi. E così i più scelgono la via più corta, il conformismo culturale e politico, per dirla con il Panfilo Gentile di Democrazie mafiose, accettando senza riserve le opinioni del potere, tradotte per loro dai partiti, si iscrivono alle svariate forme di gratitudine governativa.

I partiti, in un sistema così opaco e così costoso, diventano degli enormi uffici di collocamento, un ascensore sociale meno impegnativo delle professioni, delle arti e dei mestieri perché si limita a chiedere un prezzo facilmente estinguibile con la moneta inflazionata del conformismo.

Non basterà, quindi, tentare di render meno opaco il sistema. Bisogna dimagrire il Leviatano bulimico fuori controllo. Per far questo le discussioni sulla (pessima) legge porcellum o sulle preferenze sono solo diversivi.
Fino a quando i partiti decideranno da sé come e quanto finanziarsi, distraendo risorse pubbliche in proprio favore, senza che vi sia alcuna possibilità per i cittadini/elettori di intervenire nella decisione, l’oligarchia partitica manterrà il timone di una democrazia formale destinata a degradare a modesta ed inefficiente oclocrazia (ovvero: il governo dei peggiori).
Forse sarebbe il caso di pretendere che il contributo alle attività dei partiti venisse deciso su base volontaria dai cittadini/elettori: questo, con le cautele del caso, consentirebbe di armare un’altrimenti succube opinione pubblica, obbligata a pagare tacendo e ad attendere il prossimo Lusi di turno.