Ammetto, sono un po’ drastica. E’ ancora presto per dirlo. Solo che le due nuove serie TV che si accingono a raccontare la storia del Titanic non promettono bene.
La prima è una mini-produzione (quattro puntate) messa in onda dall’Abc e creata dal premio Oscar Julian Fellowes, il padre spirituale di Downton Abbey, la serie che ha amabilmente e magistralmente raccontato le divisioni di classe di un’Inghilterra agli inizi del Novecento.
La seconda, chiamata Titanic Blood and Steel, vede la collaborazione di Mamma Rai con più Paesi (Inghilterra, Spagna, Germania e America) e sarà composta da dieci episodi (trasmessi in sei serate sulla Rai a partire dal 15 aprile).
Non promettono bene per due motivi: in primis la storia del Titanic è vista e rivista. Sia chiaro, è ancora attuale (specialmente quest’anno che si celebra il centenario dell’affondamento della nave inaffondabile avvenuto nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 1912) ma un intero serial su una storia che si sa già come va a finire è difficile da creare. L’unico modo per farla funzionare è quello di puntare su qualcosa che vada ben oltre alla semplice trama. Il secondo motivo è il paragone cinematografico di riferimento: ovvero l’opera di Cameron, che vuoi che se ne dica (smieloso, melodrammatico, zuccheroso – anche un po’ per via della colonna sonora, My Heart Will Go On) è entrato di prepotenza nella storia del grande schermo.
La prima puntata della miniserie anglo-americana Titanic andata in onda questa settimana ha già dato prova che lo scivolone è dietro l’angolo. Lo schema è troppo simile al film che ha visto Leonardo di Caprio amoreggiare con Kate Winslet sul ponte della nave: l’attesa per l’imbarco, la divisione tra prima, seconda e terza classe, le storie d’amore legittime e illegittime che nascondo a bordo, i cancelli di metallo che tengono bloccati i passeggeri di terza classe. Come scrive giustamente Linda Stasi, critica televisiva del New York Post, tutto questo avrebbe funzionato “se non ci fossero già stati oltre 100 film, spettacoli televisivi e teatrali che raccontassero quella notte da ricordare e se “Downton Abbey” e “Upstairs, Downstairs” non fossero mai esistiti. Eppure tutte queste cose esistono“.
Peggiora la situazione quella sensazione che tutto sia girato un po’ di corsa: in 40 minuti si arriva già al punto in cui il Titanic si schianta contro l’iceberg. Le prime tre puntate ripercorreranno la storia sino a qui raccontandola dai punti di vista di diversi personaggi, per dedicare poi l’ultima puntata al momento dell’affondamento. Ma, in questo primo episodio, in soli quaranta minuti assistiamo alla storia d’amore tra un lui e una lei (un po’ sulla scia del film di Cameron) troppo repentina per spingerci a credere che sia reale e di certo troppo veloce per permetterci di provare empatia per i due personaggi. A questo si aggiunge la decisione di Fellowes di rappresentare le donne nel modo peggiore possibile: isteriche, snob e decisamente poco ironiche, ben lungi dalla panoramica del gentil sesso che Downton Abbey offriva.
Forse un omaggio, in occasione del centenario, era doveroso. Ma non bastava il ritorno del film di Cameron sul grande schermo (dal 6 aprile), questa volta in 3D? Ahimè, io ho la sensazione di sì.