Si fa ribollente la polemica sulla TAV e le manifestazioni di protesta, accompagnate da scivoloni sempre più frequenti in quelle acque agitate e fangose dove nuotano a meraviglia i seminatori di violenza. Come se il legittimo dissenso verso le infrastrutture di grande respiro diventasse sempre di più un pretesto per alimentare un endemico ribellismo e magari dare carriera politica all’ambizione di nuovi capipopolo.
E quello che insieme preoccupa è il mancato interrogarsi sulla natura profonda, culturalmente pericolosa, dei movimenti e degli apprendisti stregoni che strizzano loro l’occhio (dai Travaglio ai Santoro ai Vendola, Di Pietro e al qualunquismo dei 5 Stelle) che appaiono in realtà intrinsecamente di destra estrema, se non addirittura francamente reazionari.
Nella Storia, ahimè, è un film già visto e che ha portato senza eccezioni, in presenza di una crisi economica, sempre a sbocchi di destra, antidemocratici e autoritari. A partire dalla vicenda dei Sanculotti della Rivoluzione Francese. Quelli, passati nell’iconografia popolare come i più decisi sostenitori del “nuovo” e che portavano in trionfo sulle picche le teste dei nobili ghigliottinati, erano in realtà gli arrabbiati più nostalgici del regime precedente. Infatti – come gli storici hanno ampiamente ricostruito – si trattava in gran parte dei lavoranti parigini di imprese a “numero chiuso”. Come i fabbricanti di carrozze, pochi e abilitati dalle patenti del re. Quando la borghesia rivoluzionaria fa saltare il numero chiuso e apre il mercato alla concorrenza, i lavoranti si ritrovano precari, con i salari abbassati ed esposti alla miseria.
La loro rabbia diventò allora la più utile massa di manovra dei nuovi poteri. Ma, quando non ci furono più nobili da ghigliottinare, vennero ricacciati nell’esclusione sociale e nella povertà, tanto da plaudire più tardi (e in piena illusione) al ritorno della monarchia con la Restaurazione.
Ecco che allora anche i contemporanei segnali reazionari (come il bucolico rimpianto dell’incontaminata natura contadina della Val Susa) vanno letti con molta cura, sapendo che il governo di una complicata modernità non può essere acritico, ma nemmeno pregiudizialmente rifiutabile. Ed è questa la sfida, culturale prima che politica, alla quale una certa sinistra compiacente deve essere chiamata a rispondere. Perché la suggestione progressiva della violenza, (prima verbale, poi fisica e quindi armata) già una volta, all’epoca terribile del terrorismo, ha portato a fare i conti dolorosi con l’”album di famiglia”.
Il clima che si va diffondendo non promette nulla di buono e di dibattito civile ed onesto, anche sui rapporti costi-benefici che un Paese moderno deve laicamente affrontare. Certo è, ma nessuno se ne è accorto, che qualcuno gongola nell’ombra. Magari i sostenitori (anche finanziari) del tracciato alternativo dell’alta velocità, che avrebbero fatto passare la linea Lisbona-Kiev a nord delle Alpi, condannando l’Italia alla esclusione e al declino…