La pelle di zigrinoIl tatuaggio ideologico di Hollande

François Hollande, il candidato socialista alle prossime elezioni presidenziali francesi, ha dichiarato che se fosse per lui i redditi superiori ad 1 milione di euro dovrebbero scontare una imposta...

François Hollande, il candidato socialista alle prossime elezioni presidenziali francesi, ha dichiarato che se fosse per lui i redditi superiori ad 1 milione di euro dovrebbero scontare una imposta del 75%.
Nello stesso torno di tempo, il premier italiano Mario Monti si è impegnato a trasferire il peso della tassazione dal reddito ai consumi.
Confessiamo di non trovare granché utile il balocco con cui si intende scoprire se Monti ed il famigerato montismo siano di destra, di centro o di sinistra. Ed ancor meno ricorrere ad un immaginario sinistrometro, tanto in voga in Italia, per quantificare il grado di progressismo di programmi, dichiarazioni, atteggiamenti, gusti e preferenze.
Non nascondiamo, però, una certa invidia per quei paesi in cui la politica ha mantenuto un minimo di riconoscibilità ideale: i socialisti fanno i socialisti, i conservatori i conservatori e, se mai esistono, i liberali si sforzano di interpretare se stessi.
Dato l’elevatissimo livello di provincialismo italiano, per cui una qualsiasi corbelleria diviene rispettabile se ci si prende la briga di infiocchettarla con qualche parola anglicizzante, o perché in voga in qualche altro paese, ci preme avvertire i politici italiani che la proposta di Hollande resta un ferrovecchio demagogico. Presidenziale, ma pur sempre un ferrovecchio.
La vera ragione di una simile proposta ha poco o punto a che fare con i principi della scienza delle finanze o della giustizia sociale, piatto forte del tradizionale gauchismo dei socialisti francesi. Hollande, che è una vecchia lenza, sa benissimo che la più concreta minaccia delle prossime presidenziali non è il modesto Sarkozy, ma il crescente favore di cui gode la destra del Fronte Nazionale guidato da Marine Le Pen. Favore che, non a caso, comprende molta parte del tradizionale elettorato socialista o, genericamente, di sinistra.
Qui finisce la portata dei buoni propositi fiscali di Hollande.
E cominciano a far capolino le teste della famigerata Idra del pregiudizio economico, come la chiamava Bastiat.
Chi difende simili proposte, evidenzia come, nella realtà dei fatti, l’onere economico sarebbe minimo per i contribuenti, data, su un piano tecnico, la struttura delle aliquote che sono applicate per scaglioni di reddito (per es.: da 1.000 a 10.000 il 15%, per il reddito da 10.001 sino a 20.000 il 25% e così in avanti).
Il pregio, secondo i suoi difensori, sarebbe di ordine politico. Crediamo essi facciano riferimento alla necessità, che nessuna persona con la testa ben piantata sulle spalle si è mai presa la briga di contestare, di giustificare l’economia di mercato riequilibrando la posizione degli sfortunati e degli incapaci.
Ci pare, però, che simili argomenti non siano convincenti.
Non quello economico, che tirata la pietra nasconde la mano, evidenziando il modesto onere che ne deriverebbe per i contribuenti. Infatti, quando si deve amministrare uno stato contano le cifre e non i proclami: simili misure sarebbero scarsamente significative sotto il profilo del gettito e quindi per nulla proficue per le casse dello stato.
Non è da escludere, poi, che i potenziali contribuenti al 75% farebbero il possibile per modificare la struttura del proprio reddito in modo da eludere l’applicazione di un simile regime di prelievo. Ricordiamo, a chi stenta a prestarci orecchio, come il miliardario Warren Buffett riesca ad avere un’aliquota marginale pari, se non più bassa, di quella della sua segretaria, come ammoniva l’Economist qualche mese fa.
Ma ancor meno persuasivo è l’argomento politico. Per quanto incalliti liberisti, o forse proprio per la specie di liberismo che andiamo predicando al vento da queste colonne, restiamo persuasi che le nostre convinzioni abbiamo prima di tutto una valenza politica, prima che economicistica.
E non troviamo alcun imbarazzo nel riconoscere come un onesto liberista debba desiderare che le imposte siano “graduate in modo da attenuare le disuguaglianze nella distribuzione delle fortune”, ma che ciò avvenga necessariamente “senza intaccare l’interesse al risparmio ed agli investimenti. Una società prospera, una società sana non può esistere se vi siano troppo grandi differenze di fortune tra i molti e i pochi”.
Ma, come ricordava Luigi Einaudi (Contro lo stato Leviathan, 1946), noi non vogliamo la politica di Tarquinio il Superbo, il quale abbatteva i suoi avversari e insegnava agli altri il metodo del taglio dei più alti papaveri, perché anche i grandi papaveri devono esistere, anche le grandi fortune devono esistere se sono state conquistate col lavoro e col risparmio.
Una società aperta che rifiuti l’egualitarismo perché strumento di conculcamento dell’individuo, non può fondare la propria legislazione fiscale sul pregiudizio contro il profitto, sulla stimmate del denaro “sterco del demonio”. Non può sanzionare a tal punto la ricchezza, quando acquisita lecitamente, in modo da favorire il prodigo a spese del prudente.
Tassare i redditi maggiori a una percentuale più alta che i minori, significa mettere un’imposta sull’attività produttiva e sulla parsimonia; imporre una penalità ad alcuni per aver lavorato più duramente e aver risparmiato più dei loro vicini. Non è sulle fortune guadagnate, ma su quelle non guadagnate che l’interesse pubblico richiede di porre qualche limitazione”. Questi ammonimenti non provengono dalle orde anarco-capitaliste cui la vulgata odierna attribuisce, a torto o a ragione, l’attuale crisi finanziaria, ma sono tratti dai Principi di Economia Politica di Stuart Mill.
Diremo di più. Proprio perché convintamente liberali daremmo il nostro convinto appoggio a chi volesse impegnarsi a tassare, e quindi penalizzare, la rendita anziché il reddito, in modo da far sì che gli inetti, i poltroni rischino di venir espropriati a vantaggio dello stato.
Che senso ha, infatti, aver abolito i privilegi aristocratici se ancor oggi la lotteria della nascita consente ad alcuni di primeggiare immeritatamente ed ai più di penare ingiustamente?
Esiste, in Francia come in Italia, un problema di distribuzione della ricchezza? Crediamo di sì. Ma dubitiamo che il modo adatto per risolverlo sia quello di aumentare la quota di ricchezza che lo stato, già mezzadro dei privati, incamera. Buona parte delle nuove entrate finirebbero al più per alimentare una burocrazia impegnata a giustificare il proprio guadagno, senza fornire alcuna valida risposta a pur legittime domande.

Ed ancora meno utile ci pare il mettere in mostra inutili tatuaggi ideologici, buoni forse per stimolare qualche anchilosato riflesso pavloviano, ma non per ridefinire i confini di una inclusiva economia di mercato.

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