Il paradosso nel titolo (che è anche un paragone, ora vedrete) non è farina del mio sacco ma una citazione da Fiamma Sanò, collega giornalista di moda che ieri ha commentato lo status di Facebook di un comune amico (anche lui giornalista, anche lui di moda: sì siamo tanti), con questa frase. Che mi ha colpito, perchè traspone su un piano diverso e in modo molto incisivo una questione importante che riguarda il settore moda.
Il quesito è questo: perchè nel mondo della moda la prassi è quella di rispolverare nomi – icone, per carità – di couturier passati a miglior vita che vengono rappresentati da stilisti con altri nomi, altre storie e, soprattutto, altre identità?
I casi sono tantissimi: Chanel che è disegnato da Karl Lagerfeld (così come Fendi), Dior che sarà frutto della creatività di Raf Simons, Hedi Slimane che realizzerà la collezione Yves Saint Laurent.
L’ultimo è quello di Elsa Schiaparelli: ieri sera, in occasione del Met Ball, galà che inaugura l’annuale mostra del Costume Institute del Metropolitan Museum di New York, quest’anno incentrata su un dialogo ipotetico tra Elsa Schiaparelli e Miuccia Prada, Diego Della Valle ha annunciato di essere pronto al rilancio del marchio Elsa Schiaparelli, comprato da DDV nel 2007.
Per la cronaca, Elsa Schiaparelli è stata una delle più grandi stiliste italiane e mondiali degli anni Trenta e Quaranta ed è morta nel 1973. Quarant’anni fa. Elsa Schiaparelli si studia sui libri di storia della moda, come i Fratelli Lumière in quelli di storia del cinema: Schiaparelli è stata la prima, del resto, a proporre abiti confezionati (un tempo erano solo su misura, fatti in atelier), ma anche colori accesi come il rosa fucsia, materiali nuovi come il tweed e la plastica, dettagli come i bottoni gioiello. Per ora non si sa chi sarà a disegnare i prodotti del marchio, ma l’atelier parigino riaprirà durante la settimana haute couture di Parigi.
Una grande maestra, un modello anticonformista e rivoluzionario: ma perchè riportarla in vita?
Non sarebbe meglio, con i soldi che si investono nel rilancio di un marchio storico come questo (ma che solo gli appassionati e gli addetti ai lavori conoscono, visto che l’atelier Schiaparelli ha chiuso nel 1954), finanziare i marchi di giovani stilisti?
Nell’atteggiamento della moda di voler puntare su qualcosa che ha già avuto grande successo – in altre epoche, con un altro pubblico – un ruolo fondamentale ha l’archivio: se non si ha a disposizione un genio della creatività, i disegni di uno stilista possono essere un punto di partenza per avere un prodotto di alto livello. Ma questo basta?
Ma in letteratura ci accontenteremmo di qualcuno che scrive romanzi simili a Lev Tolstoj o di Fedor Dostoevskij magari condendo suggestioni del passato con elementi contemporanei? Io no, senza dubbio.
Ci sono aziende (come Gucci o Louis Vuitton) che vantano una brand identity molto forte, costruita nel tempo e senza grosse interruzioni per cui l’essere guidati da uno stilista “del momento” può avere senso. Il resto mi fa pensare a Frankenstein Junior.