Città invisibiliGreen economy all’italiana. “Bombe verdi” per le città

Improvvisamente, tra palazzi in strade senza alberi di quartieri senza luce, a Milano come a Roma, a Palermo come a Cagliari, arrivano le “bombe verdi”. Fiori colorati nelle zone più industrializza...

Improvvisamente, tra palazzi in strade senza alberi di quartieri senza luce, a Milano come a Roma, a Palermo come a Cagliari, arrivano le “bombe verdi”. Fiori colorati nelle zone più industrializzate, ortaggi e frutta nei centri storici, girasoli per illuminare i viali più grigi. Tutto realizzato con blitz notturni da volontari arrabbiati che armati di vanghe e rastrelli, piantano semi e bulbi dove è possibile, magari riutilizzando contenitori di plastica.
L’urbanizzazione selvaggia che ha ridotto gli spazi comuni, trasformato le città nella Metropolis di Fritz Lang, è sempre più motivo di discussione. Di confronti serrati, nel corso dei quali i ripensamenti appaiono l’esito non certo scontato, ma consequenziale, di analisi sul costruito. Acquista sempre più spazio l’architettura che riprogetta l’esistente piuttosto che applicarsi in nuovi edifici, che cerca soluzioni nelle quali al centro sia il fruitore reale del progetto, l’uomo, piuttosto che il “segno”. Autentica ossessione non solo delle cosiddette archistar, ma anche di schiere di seguaci di modeste qualità. Città vecchie, come sono nella maggior parte dei casi quelle italiane, che abbiano nuovi spazi di condivisione, di incontro. Con l’introduzione dell’elemento “verde”. Possibilmente introdotto, dopo una lettura attenta dell’intorno. Proprio per evitare che quello spazio diventi un ghetto, “soffocato” dal contesto. Che sia parte, dell’isolato, del quartiere, della città, connessa allo svago, al tempo libero, al benessere. Ma parte attiva. Nel senso che dialoghi con il resto. Insomma non un recinto.
Più spesso, recuperando aree dismesse o in procinto di esserlo. Come accade (o potrebbe accadere a Roma). “Mi piace l’idea di un riutilizzo della ‘sopraelevata’, quella terribile infrastruttura che esiste attorno alla stazione Tiburtina. Siccome nella nuova sistemazione una parte di questa sarà dismessa, l’idea è di fare come a New York: invece di demolirla trasformarne la parte superiore in orti urbani con anche un grande impatto visivo. Un’idea non male visto che la stazione Tiburtina diventerà la porta d’accesso principale alla citta’”. Con queste parole, pronunciate alla fine di ottobre del passato anno all’XI Forum della Coldiretti a Cernobbio, il sindaco Alemanno lanciava la sua proposta in tema di riqualificazione urbana attraverso l’agricoltura. Realizzare sulla tangenziale est di Roma un orto sopraelevato.
L’idea di acquisire all’agricoltura terreni urbani liberi ha suoi testati precedenti. A Chicago, ad esempio, é stata avviata nel 2002. Il progetto City farm, che ha permesso la realizzazione di quest’iniziativa, é dovuto alla Resource Center, un’organizzazione no profit specializzata nel riciclo e riutilizzo dei materiali. In quel contesto le city Farms si presentano come un modello economicamente sostenibile, che funziona nell’ambiente urbano.
Le città hanno bisogno di spazi verdi. Piccoli e grandi. Progettati o occasionali. Ad avvertire sull’urgenza della questione è il proliferare del fenomeno delle bombe verdi. Un fenomeno nato negli anni ’70 negli Usa con il movimento dei Guerrilla Gardening divenuto celebre per le sue azioni di “guerriglia giardinaggio”.
I guerrilla gardener sono una realtà sempre più conosciuta nel globo grazie alle loro azioni di protesta/semina che in alcuni casi, anche qui in Italia riescono a collaborare con le associazioni di quartiere o con le autorità locali. In molti paesi la loro resta un’azione clandestina proprio perché prevede una modificazione del suolo pubblico da parte di privati. Quanto il movimento, che si fonda su una vera e propria filosofia, abbia avuto “fortuna” lo indiziano, a Los Angeles, ad esempio, i distributori di bombe verdi, Green Aid, simili ai vecchi distributori di chewingum . Soltanto che al loro interno vi sono palline formate da argilla, compost e sementi, per un’inseminazione veloce e anonima. Con 25 centesimi di dollaro per due “seed bombs”, palline che basta gettare in terreni incolti per trasformarli in zone verdi, si può sperare che un angolo di città sia meno “brutta”.
Esperimento riproposto, nel febbraio del passato anno anche in Sardegna, a Cagliari, dall’associazione Marrai a Fura. Ma non solo. Considerato che è del 2009 il libro di Michele Trasi e Andrea Zabiello, Guerrilla Gardening. Manuale di giardinaggio e resistenza contro il degrado urbano. Una sorta di vademecum per chi creda al giardinaggio “sovversivo”.
Mentre le città, costruite troppo in fretta o superficialmente, iniziano a ridefinire i propri spazi, a ristabilire scale gerarchiche differenti rispetto al passato anche recente, le “bombe verdi” fatte esplodere dove maggiori sono le criticità sottolineano il problema. Un modo spontaneo e provvisorio di rispondere ad una esigenza. Dando però l’impressione che la risoluzione è quasi sempre una questione di volontà. Che il dilemma tra spazio costruito e spazio verde, una sorta di contrapposizione tra “bene” e “male” terreno, è il modo errato di porre una questione giusta. Il modo sbagliato di osservare il problema. Anche perché, è assai probabile che avesse ragione Fabrizio De André, “Dietro ogni blasfemo c’è un giardino”.

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