E’ la fibrillazione prevalente nel Palazzo: il profumo di elezioni ravvicinato scatena ambizioni individuali e velleità di conquista, anche per uscire dalla “morta gora” della condizione comprimaria dove le forze politiche sono state confinate dalla subalternità obbligata al “governo dei tecnici”. E il bisogno di protagonismo si accompagna naturalmente alla necessità di scaricare sugli a avversari politici la responsabilità dello “staccare la spina” all’esecutivo.
Si guarda in particolare al PDL (o a quello che ne è rimasto) dove le convulsioni interne, i sondaggi punitivi si innescano con l’ambiguo riemergere del Cavaliere, convinto di poter far scattare per l’ennesima volta quella strana magìa di legame impalpabile ed emozionale con la vasta e indistinta platea moderata che in passato ha a lungo funzionato. E tuttavia la fibrillazione attraversa pienamente anche il PD, con una “voglia inespressa di urne” che solo l’incauto responsabile economico Stefano Fassina ha avuto l’onesta imprudenza di manifestare. E pure tutti gli altri partiti hanno l’impellente necessità di arginare in una prova elettorale il fenomeno del “grillismo” prima che, con la facilità dei suoi argomenti di protesta e l’onda di una moda forse effimera, tracimi ben oltre i suoi già cospicui confini.
La dialettica del Palazzo segue una sua liturgia bizantina che appassiona gli osservatori più esperti e gli interpreti più raffinati degli “arcana imperii” che comandano nei meandri poco illuminati della politica romana. E tuttavia sembra completamente sfuggire agli esegeti più scafati delle manovre di Palazzo una ragione più prosaica, addirittura banale e tremendamente concreta.
Infatti i partiti, pur malmessi e rinchiusi nei riti della nomenclatura, , sono costretti a tener conto che esiste il popolo al quale bene o male occorre chiedere ed ottenere il consenso. E, in forma più o meno vissuta, sono tutti angosciati dalla “finestra temporale”. Ovvero sanno tutti benissimo che a dicembre arriverà (e in proporzioni ben più pesanti dell’anticipo di giugno) la stangata della vera e propria “patrimoniale”, e cioè la seconda rata dell’IMU che viene a colpire indistintamente una vastissima platea di famiglie, e cioè quell’85 per cento che con grandi sacrifici si è assicurata almeno una casa di proprietà.
Soprattutto per i ceti medi e i ceti medio-bassi la botta dell’IMU sequestrerà buona parte di quella tredicesima finora riservata non solo agli acquisti natalizi ma a anche a debiti pregressi e a quelle limitate concessioni ad uscire dalle ristrettezze del magro bilancio familiare. E questa immensa platea di minimi contribuenti, così tosata, con quale spirito affronterà un voto politico nella primavera del 2013 ? Senza aspettarsi ribellioni fiscali di massa, non è difficile prevedere che l’urna sarebbe allora lo sfogo di un diffuso e sordo rancore. Magari poco avvertito dai grandi media e tuttavia in grado di incanalarsi verso le forze anti-sistema , quelle che ci sono già e quelle che potrebbero spuntare con l’anno nuovo.
E forse, al di là di tutte le alchimie dei pensosi politologi, ai partiti che conservano (o ambiscono) a un sia pur limitato radicamento popolare la prospettiva di scavallare dicembre per andare alle elezioni generali diventa ormai un incubo. E allora, massimo ad ottobre (e pazienza per le “primarie”) proprio gli “scappa di votare”…