Chiacchierata tipica a fine mese, attendendo che il client di posta si decida a scaricare gli ultimi messaggi:
“Tasse, tasse, solo tasse: a leggere la busta paga ti vien male, guarda!”
“Guarda che? Non vedi che questa è la quota del TFR? Quando il contratto scade ce la ridanno indietro! E questi IVS sono i contributi per la pensione. Le tasse alla fine sono quste qui, vedi? E hai conservato la ricevuta delle visite? E ti sei fatto fare lo scontrino quando hai preso gli occhiali? Guarda che ti rimborsano quel che hai pagato di troppo e…”
“Contributo per la pensione! Per la pensione di chi? Non la vedremo mai, noi, la pensione. Tasse, tasse, solo tasse…”
Quand’ero ragazzina e mi trovavo di tanto in tanto alle prese con una busta paga mio padre, metalmeccanico per tutta una vita, mi diceva sempre:
“Devi saper leggere prima questo foglio di carta e poi l’assegno. Tra le due cose prima conta la busta paga! Li c’è scritto chi sei e cosa fai!”
Ammetto che si sono voluti anni per farmi capire cosa volesse dire.
Oggi, quando vedo i quarantenni che chiedono ai colleghi di spiegargli come fare a capire quante ore di ferie residue hanno per poter andare in vacanza, quando scopro nuove voci di cui non capisco il significato (già, perché ogni contratto, ogni software gestionale, ogni società richiede ogni volta di imparare tutto da capo), quando sento qualcuno lamentarsi delle tasse e mi tocca spiegargli quel poco che so, mi accorgo che se neppure conosciamo le basi di cosa parliamo quando parliamo di lavoro?
Ho visto lavoratori “datati” pretendere di avere subito la propria busta paga, pur avendo già il bonifico in banca, mentre chissà perché sono sempre i più giovani a cestinarla senza neppure aprirla.
Quando quest’anno mi sono trovata a che fare con un contratto metalmeccanico, a centinaia di chilometri dagli amici a cui poter chiedere chiarimenti, in mezzo a una realtà dove ognuno ha firmato un contratto diverso (il caos, a Roma, si ripercuote in ogni cosa), per categoria, livello, tipologia, dove comunque in primis pesa il fattore necessità, ho sentito quanto orrenda sia l’ignoranza.
Perché non se non sai quel che è giusto per te, che ti spetta perché così è il minimo stabilito per legge – i turni fatti in un certo modo, gli spazi organizzati in maniera da evitare di dover essere operarti tra 10 anni per tunnel carpale – hai ben poco da accumulare rabbia e fastidio.
Potresti avanzare richieste lecite e che vanno bene per tutti, a costo zero, che semplicemente nessuno conosceva, potresti arrabbiarti invece per cose che andrebbero bene così come stanno, se non fosse per altri dettagli che ne inquinano il corretto effetto nella loro applicazione.
Ma l’ignoranza a cui ci siamo adattati, grazie magari al fatto di aver creduto che una bella laurea ci rendesse omniscenti, è la prima causa del nostro male. L’aver creduto che la storia operaia non ci appartenesse -salvo poi benedire un contratto da metalmeccanico che per fortuna comprende i lavoratori che hanno a che fare coi calcolatori elettronici- l’aver ereditato certe idee popolari, che hanno voluto definire la superiorità del lavoro d’ufficio alla manualità dentro al capannone e quindi soffocato il bisogno di ogni possibile rivendicazione, beh, è il primo ostacolo a ogni costruzione della nostra soddisfazione.
E l’aver adottato gli slogan degli imprenditori, come se l’essere dipendenti fosse solo un passaggio di tempo momentaneo, un’indegno titolo per tanto lavoro, certo non aiuta a migliorare il quotidiano.
Come se non bastasse la miriade di contratti in essere ha prodotto una tale autonomia di idee, rassegnazioni, malinconie, che su certe cose si preferisce non indagare.
Così solo chi lo prova sulla propria pelle sa che pesano in prospettiva in modo diverso 1300 euro con un contratto a tempo determinato e 1500 a progetto. Se lavori a progetto non vedrai la disoccupazione (vedremo che ci dirà la tanto discussa riforma del lavoro) ad esempio, nè il TFR. E non è poco.
Ma il settore dell’IT, così privo di storia, passato dalle gloriose stelle della bolla speculativa anni 2000, alle stalle della concorrenza coi programmatori/help desk indiani e al bisogno diffuso di tecnici di cui in pochi sanno valutare la reale capacità, pieno di giovani alle prime armi per necessità, è forse il luogo dov’è più facile osservare come l’alta conoscenza di fattori di nicchia non sia per forza garanzia di benessere astratto rispetto alle basi del lavoro, di quel che è da sempre.
Durante un colloquio, in Friuli, in cui mi si proponeva un contratto a tempo determinato di 6 mesi per poi semmai procedere con un contratto a tempo indeterminato, ho chiesto a chi avevo davanti perché non mi proponeva un tempo indeterminato con un periodo di prova di 6 mesi. Sarebbe stato per me più motivante, almeno. E lui, un mio coetaneo e ottimo esperto nel ramo delle reti, dell’open source e ideatore di bei progetti per la PA, con una piccola impresa stabile avviata da alcuni anni, imprenditore coraggioso col desiderio di crescere in periodi difficili, è rimasto di sasso.
Non sapeva valutare la mia proposta, nè pesare la differenza tra la mia e la sua idea. Non aveva neppure letto i giornali in quei giorni e quindi non conosceva le nuove proposte anticrisi adottate che comprendevano sgravi fiscali alle aziende che assumevano giovani o donne under 35.
A lui sembrava normale la sua proposta.
Mentre a me pareva necessaria la mia.
Necessaria per una generazione che su certi temi crede di aver poco da dire, fondamentale per un settore che si appoggia sui contratti nazionali degli altri per non avere ancora il coraggio e la forza di interrogarsi su quello che fa e sul ruolo che ha anche dentro al Paese.
Perché non conta solo il bonifico in banca, quello nel tempo è destinato a cambiare, mentre tutto il resto vale e come, nella capacità di essere persone pensanti e utili ai dibattiti. Altrimenti sarà sempre chi non sa a parlare del tuo lavoro, dei bisogni che esso richiede più di altri, delle responsabilità che comporta a dettare l’agenda.
E malinconia e rabbia la faranno per sempre da padrona. Ma se si lascia degradare la qualità del proprio quotidiano tutta quell’innovazione di cui in tanti sono portatori, quelle idee belle che meriterebbero il giusto tempo e i giusti ambienti per essere sviluppate, marciranno nell’attesa.
O si sfogheranno in un bellissimo portale per qualche importante azienda scritto inserendo qualche stringa di codice malevolo dall’ultimo dei programmatori chiamati in causa capace magari di trovare il modo di arrotondare quei 1200 euro al mese per 40 ore di lavoro a settimana + 20 gratis “perché altrimenti le tempistiche erano troppo strette per arrivare alla scadenza”.
Non occorre poi troppa fantasia…