Lavoro e… prima del 2003, sono le parole chiave del terremoto emiliano, che si aggiungono a quelle classiche: sicurezza, prevenzione, imprevedibile, sfollati, vittime. La maggior parte delle vittime ha perso la vita nel posto di lavoro, sotto capannoni apparentemente recenti. Ora la questione pare essere la loro data di costruzione: prima o dopo il 2003?
I capannoni crollati erano “costruiti senza dettagli sismici, non richiesti dalla normativa all’epoca della costruzione”, dicono alcuni; in Emilia sono crollati capannoni realizzati anche dopo il 2003, semplicemente, ribattono gli altri, erano costruiti male, a costi troppo bassi (materiali scadenti?) o con tecniche inadeguate, in particolare per l’appoggio delle coperture ai travi. Naturalmente non sarà difficile verificare sia le date di costruzione dei capannoni sia le modalità di progettazione: sembra convincente la tesi secondo cui i capannoni siano stati progettati per mantenere gli sforzi sulla verticale, mentre il moto ondulatorio ha spostato l’asse e provocato il crollo delle coperture.
Federico Valerio, chimico ambientale e scienziato preoccupato, consiglia qualche analisi del cemento utilizzato nei capannoni crollati. E’ accaduto recentemente a Treviso che il cemento utilizzato nella costruzione di una casa, “cosiddetto magrone, fosse di qualità scadente, con la presenza di ceneri, diossine, metalli pesanti, sostanze tossico nocive che avrebbero dovuto essere smaltite in discariche speciali e che invece erano finite nei muri di quella casa. A tal punto da costringere all’abbattimento dell’intero edificio.” Nella zona, è ancora senza soluzione lo smaltimento di 100 mila tonnellate di ceneri del vecchio inceneritore.
Poiché in Emilia Romagna sono presenti diversi inceneritori, non è escludibile a priori la possibilità di un loro utilizzo nelle miscele di cemento, peraltro facilmente rintracciabile. “La cenere, si porta dietro un tracciante chimico, quello dei rifiuti, diverso dalle marme con cui normalmente si fa il cemento” dice Federico Valerio che aggiunge “in Germania non ci pensano minimamente di recuperarle, anzi, aggiungono il cemento alle ceneri prima di metterle in discarica ad evitare che, in presenza di acqua, rilascino metalli tossici.” Una precauzione legata alla salute dunque, e all’ambiente. Ma non solo.
L’utilizzo delle ceneri di carbone nelle miscele di cemento, ad esempio, è pratica comune nonostante il suo elevato livello di radioattività e tuttavia le sue caratteristiche chimiche sono prevedibili in base alla provenienza del carbone. Nel caso dei rifiuti, al contrario, non si può prevedere la composizione della cenere né la qualità del cemento che si ottiene, che dipende dal tipo di rifiuto di volta in volta bruciato. Valerio cita una pubblicazione del Dipartimento di Chimica del Politecnico di Milano e spiega che “in passato le ceneri dagli inceneritori sono state utilizzate anche per riempire le strade, il punto però è che non sai cosa c’è dentro; nel caso dell’alluminio, questo rende il cemento fragile perché gonfia e ne provoca la rottura.” La pubblicazione spiega che le ceneri pesanti prodotte dagli inceneritori di RSU contribuirebbero all’aumento della resistenza del cemento, a condizione che non siano macinate a secco. Anche quando macinate a umido, tuttavia, i tempi necessari per l’esaurimento di reazioni che producono gas, che “gonfia”, sono molto variabili. Insomma, meglio essere cauti.
Ora l’Emilia sarà mappata come zona sismica e quando l’emergenza sarà passata si costruirà con tecniche adeguate. Ma “occhio al cemento“, meglio se verifichiamo accuratamente quello che abbiamo usato e quello che useremo in futuro.