«Ho sempre pensato che il lavoro carcerario sia una risorsa per il detenuto, un vero modo per portarlo alla risocializzazione e al reinserimento nella società». Facendo l’esempio di Bologna il bacino di detenuti in cui si potrebbe pescare per il ministro Severino, escluderebbe i 101 detenuti in alta sicurezza e potrebbe riguardare i 246 tossicodipendenti o il 57% di extracomunitari che compongono la popolazione carceraria della Dozza. Si potrebbe lavorare «su queste due fasce».
Impiegare parte dei detenuti per la ricostruzione dell’Emilia colpita dal terremoto. È l’idea lanciata a Bologna dal ministro della Giustizia Paola Severino. «In un momento come questo che richiede interventi tempestivi penso che si potrebbe vedere anche parte della popolazione carceraria protagonista di un’esemplare ripresa».
L’iniziativa riguarderebbe i detenuti «non pericolosi e già in regime di semilibertà». Una proposta tutta da discutere ancora con i direttori delle carceri, ma che dimostrerebbe l’alto grado di civilizzazione e civiltà a cui aspira il nostro Paese.
Le carceri strapiene ed in condizioni del tutto particolari si mischiano a quelle carceri vuote e abbandonate. Oasi nel deserto carcerario che nessuno ha mai utilizzato per un inghippo burocratico doloso o colposo che sia.
E’ possibile quindi una giustizia che renda merito anche a chi deve scontare una pena. Scontarla in una cella a non fare nulla oltre ad essere diseducativo è anche antieconomico. Non si tratta di lavori forzati, che per alcuni casi male non farebbero, ma di un’azione rieducativa che possa riportare il condannato ad un’utilità sociale, la stessa che l’ha sottratto alla libertà.
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