Parigi è una grande città che progetta il suo futuro. Una delle idee-guida, sull’esempio di altre città europee, come Bilbao con la realizzazione del Guggenheim nell’ottobre 1997, consiste nel promuovere la ristrutturazione territoriale di una zona ampia partendo dal progetto di un edificio eclatante che diventa così il punto di partenza e l’elemento trainante, sia urbanistico che culturale, dell’intera riqualificazione urbana.
L’ultima sorpresa regalata in materia dalla capitale francese è il progetto di recupero dell’Ile Seguin, un’isola situata in un’ansa della Senna, nel quartiere Boulogne – Billancourt, poco a sud del celebre Bois de Boulogne. Circa 11,5 ettari di terreno ormai libero da costruzioni. Per 60 anni, dal 1929 al 1989, l’isola è stata una fabbrica. È qui che Renault ha prodotto i suoi autoveicoli. Ed è qui che la società, vera e propria fierezza nazionale, aveva la sua sede. Al suo apogeo, sull’isola e negli stabilimenti di Billancourt, proprio in faccia, lavoravano 30 mila operai. La storia è finita nel 1992, quando Renault ha chiuso definitivamente i centri di produzione dell’isola di Seguin e di Billancourt. Gli edifici poi completamente demoliti tra il 2004 e il 2005. L’area a lungo dismessa, abbandonata a uno squallore che sembrava più forte di qualunque tentativo di recupero. Eppure alcune operazioni erano state tentate. Ma tutte miseramente fallite.
Negli anni 1990-2000, la riabilitazione del sito interessa Renzo Piano, Paul Chemetov, Bernard Tschumi e altri grandi nomi dell’architettura. Nell’autunno 2000, 32.000 metri quadrati dell’Ile Seguin sono stati acquistati da François Pinault, uno dei più importanti uomini d’affari francesi, appassionato di architettura e collezionista di opere d’arte. L’obiettivo dichiarato quello di costruire una fondazione d’arte contemporanea. Decidendo di scommettere sulla realizzazione di quello che sarebbe dovuto essere uno dei progetti europei più importanti degli ultimi anni.
Il progetto prescelto, quello di Ando, in una rosa che comprendeva Steven Holl, Rem Koolhaas, Dominique Perrault, Manuelle Gautrand, MVRDV e Alvaro Siza,
“come un grande vascello spaziale che fluttua sull’acqua della Senna”. Un edificio che seguiva la sagoma dei vecchi edifici, ma, invece di essere una stecca chiusa, si apriva verso il fiume, sul davanti per mezzo di un’ampia scalinata e sui lati grazie alle pareti vetrate.
Poi, la virata di Pinault su Venezia.
Quindi l’acquisto da parte di Yves Bouvier, proprietario di Natural Le Coultre, un’azienda svizzera specializzata nella logistica delle opere d’arte, di 30 mila metri quadrati dell’isola nel dicembre 2011. Con l’intento di costruirvi un “polo delle arti plastiche e visive”. Il progetto, battezzato R4, come la famosa auto della Renault, affidato a Nelly Wenger, l’ex responsabile di Expo.02. I lavori dovrebbero cominciare entro fine anno per terminare nel 2015/2016. Con un costo, interamente “privato”, che dovrebbe oscillare tra i 75 e i 100 milioni di euro.
Un polo delle arti che ospiterà gallerie, spazi espositivi, atelier. Il progetto di Jean Nouvel, incaricato dalla municipalità di Boulogne di ridisegnare il futuro dell’isola, é molto ambizioso. Una parte centrale residenziale e lavorativa, con dei grattacieli che ospiteranno uffici, un polo musicale sul tratto a valle e l’R4 sulla parte a monte. Qui, sarà uno spazio a servizio del contenuto artistico. Funzionale ad esso. Nel sottosuolo saranno immagazzinate le opere d’arte, al pianterreno vi saranno gli spazi espositivi, le gallerie e le sale di vendita. Sul tetto vi sarà un giardino sospeso.
Il duo Nouvel-Wenger convinto della grande occasione. Quella di rifunzionalizzare un’area, a lungo, dismessa. Un progetto, tuttavia, avversato ostinatamente dagli abitanti, “spaventati” dal fatto che le nuove costruzioni, soprattutto i grattacieli, possano trasformarsi in vere e proprie barriere architettoniche.
In un quadro tra il pittoresco e il post industriale la città incantata recupera uno dei suoi spazi. Abbattendo le memorie del suo passato recente, cambiando destinazione d’uso ad un luogo che nell’immaginario collettivo dei parigini s’identificava con la parte produttiva della città. Musei, gallerie e atelier al posto degli edifici nei quali si realizzavano automobili. Forse si sarebbe potuto recuperare l’esistente, con aggiunte parziali, rivitalizzandolo, ripensandone gli spazi. Ma a parte tutto un’operazione largamente positiva. Nella quale si individua l’esistenza di un indirizzo generale. Proprio quello che non di rado manca.