Non c’è traffico la mattina presto della fine di luglio per strada a Milano, ma questo non vuol dire altro che le auto si incolonnino comunque alle 7:30 e che qualcuna si senta più sciolta nella guida semispostiva. Il cielo promette afa col suo colore perso, negli occhi il sonno si impasta e non basta aggiungere più acqua. La vecchietta s’immerge al mercato borbottando che la gh’è nissun, si lamentano tutti ma in ferie ci vanno, però. Beati loro, rispondo io con un accenno di sorriso, con una tonalità sofferta da reflusso gastrico. Non piove, oggi, chiede un’altra. Magari, rispondo io. Il pensiero che ci sia pure il ramadan scatena le sinapsi della fame e della sete. Tramezzini e lemonsoda.
Poi un terzetto invade la corsia di passaggio. Due donne, all’apparenza sorelle, il marito di una delle due. Due donne di quelle che scambiano sempre le calze per pantaloni aderenti, e pure di un paio di taglie in meno. Il marito si sente elegante in bermuda rossi e canotta nera. Chi se ne frega di come siano vestiti, direte voi, ma via Paravia è bella da vedere anche per le pittoresche mode che la colorano.
Di fronte, fa il suo ingresso la sciura: abito di cotone leggero a fiori, occhiali da sole cinesi, borsa di pelle, circa sessant’anni. SI vengono incontro da direzioni opposte. L’uomo si volta a destra per guardare i giocattoli, e si scontra con la sciura, un frontale. Scusi signora scusi dice lui. E lei, scocciata, risponde “Ma guarda avanti quando cammini!”
Quotidiano, certo. L’uomo non raccoglie, ma rifletto io: se la sciura stava guardando avanti, come ha fatto a scontrarsi con l’uomo distratto? Era distratta anch’ella? E dunque perché rimproverare all’altro le proprie medesime colpe?
Se a Milano imparassimo a guardare dove stiamo andando noi, e a fare attenzione pure a dove sta andando l’altro, le cose andrebbero forse un po’ meglio. O dovremmo ammettere che se non ci interessa prestare queste attenzioni.