La domanda è senza malizia. Fonti interne a Piazza Cordusio fanno sapere che, attualmente, non è arrivata alcuna richiesta formale da parte dell’authority guidata da Giuseppe Vegas sulla presunta lettera tra Alberto Nagel e Salvatore Ligresti contenente la buonuscita della famiglia, pari a 45 milioni di euro e non comunicata alle autorithy. Oggi, su richiesta Consob, Mediobanca ha diramato una nota con cui comunica «di non aver stipulato alcun accordo con la famiglia Ligresti nell’ambito del Progetto di Integrazione del gruppo Unipol con il gruppo Premafin», mentre Unipol, da parte sua, dichiara di «non essere a conoscenza di alcun “presunto accordo”», mentre Premafin dice di «non essere in possesso di informazioni riferibili a detti accordi».
Eppure è proprio il pater familias Salvatore Ligresti, nel corso del suo recente interrogatorio in Procura, a tirare in ballo Federico Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit, spiegando di non sapere se il numero uno di Unipol, Carlo Cimbri, e Ghizzoni fossero a conoscenza dei patti. In questa storia la posizione della prima banca italiana per asset è particolarmente delicata: da un lato è esposta per mezzo miliardo di euro verso le holding immobiliari fallite Imco e Sinergia, ora in mano alla Procura, dall’altro deve fare in modo che quel pacchetto che rappresenta l’8,6% di Mediobanca in suo possesso non subisca alcuna svalutazione. Un rischio elevatissimo, dati gli 1,1 miliardi di prestiti subordinati erogati negli anni a Piazzetta Cuccia.
Di certo sappiamo che Unicredit ha sottoscritto per 61 milioni di euro i diritti d’opzione dell’aumento di capitale Fon-sai, di cui detiene il 6,6%, pacchetto sul quale, comunque, sono decaduti i patti parasociali. E sappiamo che Ghizzoni averebbe dovuto e potuto uscire ben prima dall’ex salotto buono.