Le convulsioni attraversate dalla Lega Nord negli ultimi mesi hanno stimolato una diffusa curiosità su come il partito più “vecchio” del Parlamento potesse riuscire a rifarsi un’immagine e un itinerario politico. E il processo di rapido cambiamento interno che ha portato Roberto Maroni alla guida indiscussa del movimento ha altresì instillato il dubbio che la Lega non fosse poi affogata, come il comune sentire (e pure i sondaggi) davano per inevitabile.
Che il dubbio sia fondato lo prova indirettamente il fatto che il sistema mediatico (il Corriere della Sera “in primis”) abbia scatenato un profluvio di analisi sulla “furia nuovista” che avrebbe tarantolato il “Carroccio 2.0”. Prima il rimpianto “peloso” sul Padre-padrone ridimensionato nell’iconografia ufficiale leghista e pure abolito dal simbolo; poi, nel ricambio generazionale del gruppo dirigente, la presunta cancellazione di tutti i momenti forti dell’armamentario storico-mitologico di cui si è nutrita in diversi decenni l’approssimativo “appeal” culturale dei padani.
E’ vero che fosse nella logica delle cose la rinuncia all’ampolla del Po e alla conseguente mistica paganeggiante, anche perché i Celti e la loro tradizione sono da secoli tutti morti. Mentre invece sono ben vivi i “Liberi Comuni” impegnati come al tempo del Barbarossa contro il centralismo statal-imperiale. Ecco perché si è rivelata una bufala colossale la voce dell’abbandono di Pontida e della sua suggestione ancora attuale.
Piuttosto con gli “Stati generali del Nord” convocati a Mantova c’è evidente il disegno di riallargare il fronte dei possibili elettori, con la forza drammatica dei problemi che devastano i ceti produttivi del Nord, ancora più schiacciati dal peso economico del potere dei ceti parassitari concentrati nel grasso coacervo della pubblica amministrazione. Ed è su questa disperazione che la nuova Lega prova a rimettersi in gioco, sapendo che gli “altri”, a cominciare dalla sinistra, sono per loro natura incapaci di esprimere una convincente rappresentanza.
Maroni non ha l’arruffato carisma popolano di Bossi (e lo sa). E non ha neppure quel fiuto animalesco per la politica che ha contraddistinto la lunga stagione dell’Umberto. Ecco perché, al di là dello zelo partigiano delle cerchie rispettive, il conflitto tra i due resterà sempre “a bassa intensità”: il nuovo leader, che ben li conosce, non vuole rinunciare ai talenti del vecchio, e li userà spesso, in un rapporto personale più che dignitoso. E intanto di Bossi Maroni sta adesso mutuando un linguaggio più diretto e quasi volgare.
La scommessa è ardua e difficile ma la Lega ci vuol provare. E sulla comunicazione non è digiuna alla presenza massiccia sui social-network. Per quella paludata, con i media più sensibili ai “poteri forti”, c’è la sfida aperta per Isabella Votino, l’avvenente portavoce, che ha il pregio per il Palazzo di venire con orgoglio dalla dura terra sannita, la stessa di Clemente Mastella (e di Ponzio Pilato). Non sarà del Nord, ma intanto è a mezzadria tra la Lega e il Milan, quasi un larvato messaggio di una rinnovata alleanza. Però il “rossonero” in politica si sa che è un “ossimoro cromatico”… Insomma tanto basta per intrigare a stare a vedere quanto succederà. E non ci si starà certo ad annoiare.