Officine DemocraticheBurocrazia finché morte non ci separi

di FERNANDA FAINI - Officina Merito In Italia anche morire è difficile. Non per chi muore naturalmente, che ci si augura possa riposare in pace, ma per coloro che restano riposo e pace sono parole ...

di FERNANDA FAINI – Officina Merito

In Italia anche morire è difficile.
Non per chi muore naturalmente, che ci si augura possa riposare in pace, ma per coloro che restano riposo e pace sono parole che non conosceranno dopo l’evento funesto. Verranno infatti travolti dalla burocrazia, dalle complicazioni inutili, dall’opacità inspiegabile a coprire ogni auspicabile chiarezza.
Nell’Italia della spending review, dei tagli e delle loro percentuali, nessuno sembra volgere lo sguardo al quotidiano vissuto dai cittadini dove si annidano ritardi, inefficienze, costi e inadeguatezze. Nessuno sembra voler vedere i procedimenti contorti, illogici e complessi che necessitano di un ripensamento profondo e non solo di un taglio di accetta che lascia ciò che resta come era, agendo solo sui numeri e non sulle cause. E duole constatare come l’analisi delle pratiche legate alla morte di un cittadino italiano sveli drammaticamente tutto il groviglio burocratico che ci incatena. Si comincia al momento della morte. Se infatti questa arriva in ospedale può capitare di restare sorpresi al momento della consegna ai parenti dei moduli “utili per le successive pratiche”. Accidenti, le istituzioni fanno sistema e la prima struttura pubblica che si incontra fornisce tutto quanto necessario. Che efficienza. Bello. Troppo. Peccato infatti scoprire subito a una prima lettura che i moduli, abbracciati come possibile soluzione a tutti i mali, serviranno a ben poco a meno che non si debbano accertare le cause di morte. Insomma sono semplici moduli per l’accesso agli atti in possesso dell’ospedale. Nessuna panacea a tutti i mali.
Subito dopo perciò ci sarà da preoccuparsi di una serie di pratiche e connesse problematiche che accompagnano il triste evento. Ci saranno associazioni e società pronte a risolvere tutte le questioni legate alla “collocazione” del defunto, che sia la sistemazione in un loculo o una cremazione. Efficienza che si paga. Salatissimo. E risolve come intuitivo solo parte delle pratiche, che sono e restano tante. Esempio magistrale per capire il tutto è il caso frequente della donna rimasta vedova che debba chiedere la pensione di reversibilità. Ecco, nella fattispecie si tocca il paradosso. Sì perché la vedova, per lo più di età avanzata, si recherà come logico all’istituto di previdenza per informarsi e procedere con la pratica. Qui l’istituto, con una certa soddisfazione per aver imboccato la via del progresso e dell’innovazione, comunicherà che le domande di reversibilità possono essere compilate solo per via telematica. Geniale. Nel Paese che registra nelle famiglie composte da soggetti con più di 65 anni percentuali di utilizzo delle tecnologie e accesso alla rete che si aggirano intorno al 10 %, si digitalizzano proprio le pratiche che riguardano questi soggetti. Si parte al contrario, da chi è colpito da digital divide in modo che si senta sempre più escluso. Ma il solerte istituto di previdenza non si limiterà a comunicare l’esclusiva possibilità di compilazione telematica, ma suggerirà l’opportunità di recarsi ad un patronato “per sapere come compilare al meglio la domanda, dato che non è così semplice e intuitivo”. Ottimo anche questo. L’anziana dovrà quindi recarsi ad un patronato e verosimilmente (anche comprensibilmente) verrà invitata a iscriversi per poter usufruire dei servizi.
Non finisce qui, perché in ogni morte e successione che si rispetti si incontra un altro soggetto: la banca. Al riguardo senza ipocrisia l’augurio è che il defunto abbia già lasciato tutto ai propri affetti prima di morire, perché se rimane qualcosa questo sarà intrappolato dalla burocrazia. La banca vorrà infatti il certificato di morte e la dichiarazione di successione degli eredi per “sbloccare” i soldi che con la morte l’istituto bancario congelerà. Ma le autocertificazioni e l’interoperabilità fra enti che consenta di effettuare controlli e verificare con semplicità quanto dichiarato? Le banche si potrebbe obiettare sono soggetti privati e non pubblici (per i quali è prevista l’autocertificazione) e pertanto bisogna vedere se hanno deciso di accettare le autocertificazioni (la normativa prevede infatti che si applichi “ai privati che vi consentono”). E allora? Ciò permette loro di rimanere per sempre ostinatamente burocratici o per il ruolo e le funzioni svolte si potrebbe pensare di modificare le norme obbligandoli a maggiore semplicità? In ogni caso, prodotti gli originali richiesti dalla banca, a sbloccare il conto del defunto ci vorranno tempo e soldi: “le spese per la documentazione”, una cinquantina di euro se “vi trattano bene”. Ma se tutti gli originali li portano gli eredi, per quale documentazione si dovrà pagare, se si esclude la produzione dei rapporti in essere del defunto e qualche fotocopia? 50 euro come fanno a venire fuori? Il tempo e il prezzo della burocrazia.
Se poi il caso vuole che il soggetto muoia in un comune diverso da quello di residenza in vita, il consiglio è di prepararsi “armi e bagagli” e recarsi al comune di morte per il certificato, perché a rendere disponibile un certificato di morte fra due comuni vi comunicheranno che possono volerci mesi. Ma la rete, le connessioni, l’interoperabilità li vogliamo usare in questo Paese? La conclusione amara è che anche nel momento del dolore per la morte di qualcuno lo Stato e le banche vi accompagneranno. Anzi vi travolgeranno con la loro interminabile e inutile burocrazia.

Fernanda Faini

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