di CRISTINA GIACHI – http://www.officinedemocratiche.it
Le donne sono di più. Eppure.
Ascoltando Lidia Menapace, nel giorno in cui nel salone dei 500 si celebrano i 68 anni dalla liberazione di Firenze, mi ha colpito un dato sottolineato dall’ex staffetta partigiana con molta enfasi: le cittadine, le donne, in questo momento storico sono la maggioranza in tutto l’universo.
Un po’ schematicamente, dato per scontato che una questione femminile (o maschile?) esiste nel nostro paese, verrebbe da dire che questa maggioranza non riesce ad avere una sola voce e non deve avere sufficiente coscienza di sé, se non esprime una quota considerevole di dirigenti nei ruoli chiave dalla società. Un dato su tutti: il 52% del corpo elettorale è di sesso femminile, eppure tra gli eletti le donne sono meno del 20%. Le donne non sono amiche delle donne? Spesso e giustamente si sottolinea la dialettica uomo/donna, non soltanto perché se le donne occupano poco spazio pubblico è perché lo trovano già occupato dagli uomini, ma anche perché il condizionamento prepotente esercitato dallo sguardo maschile, dal modo maschile di fare le cose, sulla vita sociale e professionale di tante donne è il primo degli effetti di un problema culturale che nel nostro paese indubitabilmente c’è.
Quanto tale deficit culturale sia profondo e pervasivo mi è apparso di recente confermato dalla reazione di molte, anche mia di primissimo acchito, alla scelta di Anne-Marie Slaughter, la consigliera del presidente Obama, di lasciare il prestigioso incarico al grido di ‘basta, non possiamo avere tutto’, quando tutto è per le donne la famiglia, il lavoro, forse il potere. Un brivido rinunciatario mi ha percorso la schiena. Ecco, ho pensato, un’altra che non ce la fa e che teorizza l’impossibilità di tenere insieme la vita privata e familiare con l’impegno professionale e pubblico. Ma poi le ragioni e l’elaborazione di quella scelta si sono aperte su una riflessione diversa. Perché è profondamente vero che, a queste condizioni – e in Italia mille volte di più che in altri paesi – per le donne ‘avere tutto’ ha il costo altissimo di accedere a una visione di sé eroica, una gabbia dell’autocoscienza che lusinga e intrappola: se ce la fai sei eccezionale. Con il risultato che se non ce la fai è colpa tua. Per questo l’adagio ricordato da Michela Marzano qualche settimana fa, nel quale si rivendica il diritto ad avere donne mediocri nelle posizioni di vertice, mantiene la sua validità come utile provocazione. Nel mondo che vorremmo (un mondo normale?) le donne e gli uomini cooperano al bene sociale, condividono i compiti che la natura e la cultura hanno loro affidato, tenendo conto delle specificità di ognuno. La genitorialità, ad esempio, come sintesi di una paternità e maternità profondamente mutate. Se è vero che, ancora per diversi decenni, probabilmente, saranno le donne a partorire i figli, lo è anche che i padri hanno assunto negli ultimi vent’anni ruoli crescenti nella cura della prole ed è giusto che siano loro culturalmente riconosciuti. Eppure non si può far finta che una differenza non ci sia, c’è, forse è transitoria, di certo non è lombrosiana, ma deve essere assunta. La questione è come sostenere e governare quella differenza, cosa farne. Perché mi pare evidente che possa diventare ricchezza. Anzi, lo è. In Germania si è previsto, ad esempio, che nel caso siano anche i padri a usufruire del congedo parentale, si debba computarne la durata con una premialità di due mesi rispetto al tempo concesso se a usufruirne sia solo la donna. Un provvedimento semplice, che necessita di risorse finanziarie, ma che è stato in grado di aumentare del 25% il numero degli uomini che hanno fatto richiesta del congedo, col risultato che le loro compagne hanno potuto continuare a lavorare, magari non perdendo opportunità in momenti chiave per la loro vita professionale. Sappiamo ormai che valorizzare le donne conviene (come recita il titolo di un bel libro di Daniela Del Boca, Letizia Mencarini e Silvia Pasqua), produce punti di PIL, insomma, genera sviluppo: se la crescita e lo sviluppo sono un tema, allora, non lo è anche mettere in pista quel motore in attesa che sono le energie femminili? Facciamo un piccolo investimento, facciamo stare a casa i padri, per esempio!
Ora è vero che la società tedesca non è la nostra, quanto a cultura di genere, e che noi ci dobbiamo molto lavorare. Un provvedimento semplice, a costo zero, in un’ottica di investimento culturale di lungo periodo, potrebbe essere la revisione dei programmi scolastici ministeriali: forse potrebbe servire inserire figure di donne protagoniste della storia, esploratrici, viaggiatrici, raccontare le culture matriarcali, la letteratura e la filosofia femminili. Non per fare della fanta-storia, ma per offrire alle ragazze, alle future donne, la chance di modelli cui ispirarsi, il filo di trama di un racconto diverso e altrettanto vero della complessa storia dell’umanità. E non entrerò, qui, nel capitolo triste, ma fondamentale e da affrontare, della violenza e dei soprusi ancora subiti dalle donne solo per il fatto di esserlo, donne; per il fatto di essere diverse, di non corrispondere a uno stereotipo inventato dalla storia per loro. Il capitolo di quella violenza che arriva al femminicidio, il vero nome di quelle fattispecie criminali ancora troppo spesso descritte con miopia, e insensibilità a qualunque cultura di genere, adoperando espressioni come delitto passionale.
Di recente, su un piano meno tragico, ma altrettanto urgente, un provvedimento votato dal nostro parlamento ha previsto una quota di rappresentanza femminile obbligatoria nei cda delle aziende pubbliche. Anche le quote sono uno strumento, mai un orizzonte, che può aiutare a creare uno spazio per le donne, a riequilibrare, a guidare le scelte di molti dirigenti non tanto capaci dal punto di vista strategico da comprendere che inserire le donne insieme agli uomini nei ruoli di vertice aiuta a rinnovare modalità e prospettive di funzionamento degli organismi. A questo proposito siamo ancora molto indietro, e sono pochi ancora, ad esempio, tra i sindaci delle grandi città, ad avere giunte composte in egual misura di donne e di uomini (a Firenze siamo addirittura 5 a 4!). Ecco. Intanto occorrerebbe che anche altri uomini avveduti lasciassero spazio alle donne, a quelle come loro, senza cercarne di eccezionali. Poi che un governo assennato assumesse tra le sue priorità la questione delle energie femminili coinvolte nella progettazione sociale e nel governo, prevedendo ad esempio, qualcosa di più di un giorno di congedo parentale per i neopadri. E infine che le donne vestissero come una bandiera il coraggio e la determinazione della loro differenza (quelle qualità che le fanno impegnare ogni giorno per il bene di tutti, passando sopra a molte cose che non vanno) e che, con nuovo spirito, riscoprissero la solidarietà tra loro.