Seicento milioni circa in sedici anni. Tanto è costata alla collettività la vita industriale delle miniere del Carbonsuclcis al centro delle scene mediatiche in questo sonnacchioso finale di estate.
Seicento milioni sono tanti, e più d’uno – ironicamente – ha annotato che dando un milione a testa alle famiglie dei minatori (arrivati all’atto estremo dell’occupazione delle miniere a centinaia di metri di profondità) si sarebbe addirittura risparmiato. I risultati delle miniere sono disastrosi, il carbone ivi estratto di pessima qualità, le trattative per nuove commesse difficili o del tutto improbabili: insomma, quelle miniere dovrebbero semplicemente, dolorosamente e definitivamente essere chiuse.
Compito della politica, dato che le miniere fanno capo al 100% alla Regione Sardegna, sarebbe di ammettere un fallimento, di spiegare il perchè di una scelta non oltre rinviabile, e di pensare a come stimolare e favorire lo sviluppo economico dei territori: non sussidiando, per cominciare, imprese fallimentari.
Ma questo è quello che farebbe – e anzitutto direbbe – una politica seria, che guarda lontano, che non sottrare risorse a tutti per qualcosa che non ha nessuna possibilità di stare in piedi presto o tardi sulle proprie gambe. Che non confonde, in definitiva, i sussidi di disoccupazione e i salari garantiti con lo stipendio per un lavoro svolto all’interno di un’impresa che tende a (o già raggiunge) l’equilibrio economico.
E invece, in un paese che parla di politica fin troppo e la pratica fin troppo poco, le storie umane – degna di vera comprensione e attenzione, naturalmente – degli operai diventano l’unica narrazione consentita di una vicenda, che invece, racconterebbe – a ben guardare – di quanto una politica inefficienze e assistenziale faccia del male e non del bene. E di quanto sia diffuso l’interesse a non prolungare più a lungo uno sperpero di danaro pubblico che niente di stabile e duraturo può lasciare all’Italia, alla Sardegna, e in definitiva ai lavoratori.
Qualcuno ha provato a parlare così al Sulcis? No, probabilmente perchè serve – per farlo – il coraggio delle idee di lungo periodo, dei progetti che si perseguono con le rinuncie credendo a visioni di fondo. Cose che in Italia mancano da tanto tempo, e così finisce che dal governo arrivi una voce possibilista: “Non è certo che le miniere debbano chiudere a fine anno”. Già, tanto l’anno prossimo saranno affari di altri. Andrebbe anche bene, se il paese e le sue risorse scarse, non fossero di tutti.